Intervista al Professor Enzo Ciconte, docente di storia delle mafie italiane all’Università di Pavia e già consulente della Commissione parlamentare antimafia.
Polizia e Democrazia ha interpellato il professor Enzo Ciconte, studioso di organizzazioni criminali mafiose, in particolare della ‘ndrangheta, per comprendere come agiscono le mafie al tempo del Coronavirus. Ciconte, 73 anni, nato a Soriano Calabro (Vibo Valentia), è docente di storia delle mafie italiane all’Università di Pavia. In passato ha insegnato storia della criminalità organizzata e tenuto seminari in vari atenei italiani. Laureato in lettere ed ex deputato, a partire dal 1997 è stato per molti anni consulente della Commissione parlamentare antimafia. È autore di numerosi libri sulla criminalità mafiosa, tra i quali: ‘Ndrangheta dall’Unità a oggi (Laterza, 1992), Processo alla ‘Ndrangheta (Laterza, 1996), Mafia, camorra e ‘ndrangheta in Emilia-Romagna (Panozzo, 1998), Le proiezioni mafiose al Nord (Rubbettino, 2013), Chi ha ucciso Emanuele Notarbartolo? (Salerno, 2019).
Professor Ciconte, in questo frangente di grave crisi per la pandemia di Coronavirus vi è un rischio maggiore di infiltrazioni mafiose nel tessuto economico e sociale italiano?
Noi abbiamo un rischio concreto per quanto riguarda la possibilità di una presenza delle organizzazioni mafiose per la situazione che si è determinata per il Coronavirus. Vedo un doppio pericolo. Uno, evidente, riguarda l’immediato: avendo i mafiosi una disponibilità di liquidità economica imponente, vi è la possibilità che questi soldi finiscano in mano a soggetti, a persone, che hanno oggi bisogno di liquidità e che quindi, per sopravvivere, sono costretti a chiedere soldi ad usura. I dati mostrano che c’è un incremento di queste richieste. Il secondo rischio che io vedo è che i mafiosi – approfittando di questa situazione di grandissima difficoltà non solo per il semplice cittadino, ma anche per commercianti, imprese, per settori del turismo e della sanità – puntino ad introdursi negli assetti societari delle aziende.
Condivide, pertanto, l’allarme usura lanciato da magistrati come il procuratore nazionale antimafia, Federico Cafiero De Raho, e il procuratore di Catanzaro, Nicola Gratteri?
Il ministro dell’Interno, Lamorgese, denuncia che a marzo i reati di usura sono aumentati del 9%. Questi sono dati del ministero, che ha l’immediato polso della situazione. La Polizia, dalle indagini che sta effettuando, registra quindi che vi è stato già un incremento dell’usura. Penso che l’allarme lanciato sia serio, importante.
Come si muove la criminalità organizzata e come è necessario agire per evitare che, nell’assegnazione degli aiuti economici per far ripartire l’economia, i soldi cadano nelle mani delle mafie?
Credo che si stiano predisponendo misure adatte a fare in modo che anche i soldi che stanno per arrivare – che arriveranno prima o poi dall’Europa – non finiscano in mani mafiose. Noi, rispetto al passato, abbiamo un vantaggio, forse due. Il primo è che le forze di polizia sanno benissimo quali sono i pericoli. Oggi conosciamo il nemico, quindi sappiamo come prevedibilmente si può muovere. Se venti, trenta, quarant’anni fa, si poteva avere la scusante che non conoscevamo bene la mafia e le sue modalità di azione, noi oggi sappiamo invece quali possono essere i possibili settori di intervento e, quindi, mi pare che il ministro dell’Interno ed alcuni magistrati stiano cominciando a valutare le cose che bisogna fare. E credo che questo sia fondamentale. Perché se si mettono insieme il governo, le forze economiche del Paese, le forze sindacali, i magistrati, penso che il fuoco di sbarramento nei confronti dei mafiosi possa essere molto efficace. Poi, c’è un altro elemento che è anche un vantaggio: le mafie non hanno la forza che avevano ai tempi delle stragi di Falcone e Borsellino. In quei tempi, Cosa nostra era all’apice del potere e della capacità di distruzione. Quella Cosa nostra, l’ala stragista dei corleonesi, oggi non esiste più. Non è possibile parlare di mafia siciliana nei termini, e come espressione, che noi usavamo quando c’erano Falcone e Borsellino. La stessa cosa vale per i Casalesi. I Casalesi, sia per le attività delle forze di polizia e della magistratura sia per l’attività dei collaboratori di giustizia, sono di fatto scomparsi o ridotti al lumicino. La camorra che abbiamo imparato a conoscere negli ultimi decenni è completamente trasformata. La medesima considerazione vale per la ‘ndrangheta che a Duisburg aveva fatto quella prova di forza a livello internazionale: è stata colpita negli anni passati duramente, in Calabria e fuori dalla Calabria. Quindi, noi abbiamo le tre principali organizzazioni mafiose, Cosa nostra siciliana, la camorra campana, la ‘ndrangheta calabrese, che sono – rispetto a venti, trent’anni fa – indebolite. Ciò non significa che sono state vinte o che non hanno una capacità di rigenerazione o una capacità di introdursi nel sistema economico italiano in questa fase di Coronavirus, però dobbiamo sapere che hanno le unghie spuntate. Se non dessimo questo giudizio, sarebbe come affermare che tutto quello che è stato fatto da polizia, carabinieri, guardia di finanza, magistrati e uomini dell’antimafia – che in tutti questi anni si sono occupati di questo problema – non è servito a nulla. Invece, non è vero. Poi, i controlli devono essere aggiornati, snelliti, ma devono rimanere. Non si può assolutamente consentire che non vi sia la possibilità di un controllo.
La sanità è un settore che interessa alle mafie?
La mafia è già presente nel settore della sanità. La sanità non è un settore nuovo. In Calabria sono state sciolte un paio di aziende sanitarie locali. A Pavia, quando ci fu l’Operazione Crimine Infinito condotta dalla Dda di Reggio Calabria e dalla Dda di Milano, si scoprì che nell’Asl di Pavia c’erano presenze importanti della ‘ndrangheta in posti apicali. Quindi, che la ‘ndrangheta abbia una capacità, dimostrata, di interesse nei confronti della sanità, per me non è una scoperta e, pertanto, credo che i mafiosi continueranno ad interessarsi delle questioni che la riguardano. La sanità era già appetibile prima e lo è diventata ancora di più nel momento in cui è scoppiato il Coronavirus. Il pericolo qual è? Che in una situazione come quella attuale, nella quale vi è il bisogno di comprare strumentazioni, mascherine e quant’altro serve a superare questo momento di emergenza, loro possano inserirsi, perché c’è una situazione in cui i controlli di prima sono stati allentati, se non praticamente ridotti all’inesistenza. Io non sono per “tana libera tutti”, per dirla con una battuta; nel senso che non sono favorevole a deregolamentare tutte le attività economiche in Italia. Qualcuno dice che bisogna deregolamentare, ma secondo me è un errore clamoroso.
In quali altri ambiti le mafie cercheranno di lucrare di più?
L’altro settore importante sarà l’edilizia. Siccome l’Italia dovrà ripartire, l’edilizia, i lavori pubblici, le strade, le autostrade, i palazzi, gli ospedali, saranno un’attività prevalente e, in questi ambienti, bisogna avere dei controlli efficaci, quindi non lasciare mano libera alla possibilità che le mafie intervengano. Ribadisco che i controlli devono continuare, devono essere meno burocratici, ma ci devono essere. Non si può fare edilizia saltando regole e controlli. Parliamoci chiaro: sarebbe un regalo alle mafie.
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