Da sempre ci sono delle insicurezze che sistematicamente vengono trascurate o totalmente ignorate da parte di tutti i governi e dalle amministrazioni locali. Questa negligenza appare ancora più vistosa, in particolare, da oltre trent’anni, cioè da quando nella cosiddetta agenda pubblica si parla molto più di sicurezza e di lotte all’insicurezza e si propone anche la “tolleranza zero”, più repressione e sanzioni e pene sempre più severe.
Ma che ne è di quelle che qui chiamiamo insicurezze ignorate, ossia quelle che colpiscono la stragrande maggioranza della popolazione e sono la causa della maggioranza di decessi?
Si tratta di due principali tipi di insicurezza:
1) quelle derivanti dai rischi di malattie da contaminazioni tossiche che sono appunto la prima causa della mortalità in Italia come nel resto del mondo;
2)quelle derivanti dalla mancanza di tutele effettivamente efficaci nei confronti degli incidenti sul lavoro e di protezioni dei lavoratori alla mercé delle cosiddette economie sommerse (quindi lavoro nero e neo-schiavitù, che producono anche evasione fiscale e contributiva e collusioni con la criminalità, oltre che contaminazioni tossiche).
Cosa fanno le agenzie di prevenzione e controllo, le forze di polizia, le amministrazioni locali e nazionali e la magistratura rispetto a queste insicurezze e quindi per la protezione delle vittime (e fra le vittime, in questo caso, ci sono anche lo Stato e la res publica)? Sì, è vero, sui giornali leggiamo che ogni tanto ci sono operazioni repressive che però svelano solo in piccola parte queste insicurezze e le loro vittime.
Ma come ben sanno tanti operatori delle istituzioni che dovrebbero occuparsi di queste insicurezze come compito prioritario, nella maggioranza dei casi le vittime restano senza tutela e abbandonate a sé stesse. Lo si è visto nelle molteplici occasioni di disastri sanitari-ambientali quando, nell’immediato, tutti i media e tutte le autorità si sono dette commosse e impegnate ma nei fatti le vittime sono rimaste sole, tranne l’aiuto di alcuni operatori che in certi casi ci hanno rimesso la vita (vedi libro Resistenze ai disastri sanitari-ambientali ed economici in Mediterraneo). E lo stesso vale per le vittime di lavoro nero e neo-schiavitù, sia che si tratti di italiani o immigrati. Fra l’altro la perdita per lo Stato è sempre elevatissima, sia per l’ammanco di contributi e tasse dalle economie sommerse – che riguardano oltre il 32% del PIL (come ha stimato anche uno studio della Banca d’Italia) – sia che si tratti di catastrofi sanitarie e ambientali (basti pensare a tutta la sequela di fatti da Seveso all’ACNA di Cengio, alle inondazioni e frane, all’inquinamento devastante dei petrolchimici o agli incendi ed esplosioni in depositi e in fabbriche).
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