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Marzo/2020 - Articoli e Inchieste
Discriminazione
Razzismo, xenofobia e migrazioni in Italia, un paese post cattolico
di Guido Dotti

Terra e spaesamento
“Essere istruite”, così rispondeva una adolescente di un campo di rifugiati interni nello stato del Kachin in Myanmar a una domanda del nostro Pilgrim Team su quale fosse “la vita migliore” che lei e le sue compagne si auguravano per il proprio futuro. E aggiungeva: “Io, per esempio, vorrei diventare musicista e poi… membro del Parlamento, così da poter restituire la terra al nostro popolo che vi potrà vivere coltivandola”. Come le sue amiche, aveva al massimo quattordici anni e ne aveva trascorsi già sette in quel campo distante solo alcune decine di chilometri dal villaggio natale. La determinazione e la speranza di quelle ragazze – e di altri coetanei incontrati nei vari campi visitati – sono stati per me e sono tuttora una chiave di rilettura decisiva degli eventi che da decenni e in particolare in questo ultimo anno attraversano il mio paese, l’Italia: un paese di antica tradizione cristiana e cattolica ormai smarrita come identità collettiva, una nazione che dalla sua nascita come stato unitario (1861) è caratterizzata dalla migrazione – esterna e interna – di milioni di suoi cittadini e ora, da alcuni decenni, anche dall’immigrazione di persone provenienti dall’Est e dal Sud, dalle terre al di là delle Alpi e del Mediterraneo.
“Terra e spaesamento” sono perciò due ambiti che ben riassumono alcuni tratti essenziali dell’identità italiana e quindi due lenti attraverso le quali esaminare oggi il fenomeno del razzismo in un paese che, come vedremo, potremmo definire “post-cattolico”. Legame con la terra, cultura contadina da un lato e, dall’altro, necessità di emigrare, desiderio di essere accolti e fatica nell’accogliere: sono caratteristiche che accomunano gli italiani a molte delle popolazioni visitate nel corso del Pellegrinaggio di Giustizia e Pace del Consiglio ecumenico delle Chiese, ben al di là delle evidenti differenze di cultura, etnia, religione.
Un paese etnicamente e culturalmente omogeneo?
Anche le vicende della mia famiglia e la mia personale trovano risonanze particolari nelle tematiche legate alla terra, all’emigrazione e al razzismo. Una mia nonna nacque in Argentina alla fine del XIX secolo da immigrati italiani, mentre i due miei nonni e mio padre da giovani hanno lavorato per alcuni anni in altri paesi europei. A mia volta, dopo aver avuto compagni di classe ebrei alle scuole medie e superiori, ho vissuto come giovane novizio e studente in Svizzera durante gli anni della campagna xenofoba in occasione del secondo referendum popolare contro gli stranieri (ottobre 1974), mentre da alcuni anni mi occupo in prima persona dell’accoglienza e dell’inserimento in Italia di alcuni immigrati e richiedenti asilo provenienti dall’Africa sub-sahariana, accolti dalla comunità monastica di cui sono membro dal 1972. Tra i fratelli e le sorelle del mio monastero – di sei diverse nazionalità e di svariate regioni italiane – una è cittadina statunitense di origine ucraina, mentre un fratello appartiene agli “italiani di seconda generazione”, essendo nato in Italia da genitori dello Sri Lanka. Un insieme di circostanze, comunque, per nulla rare oggi in un paese che invece all’estero si è soliti considerare essenzialmente uniforme dal punto di vista etnico.

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