Il regista italo-americano, insieme agli amici di sempre Robert De Niro, Joe Pesci e stavolta anche con Al Pacino, firma un’epopea intima ed elegiaca
Frank “l’irlandese” Sheeran dipinge case. Ovvero, nel gergo mafioso, imbratta di sangue le pareti dove uccide le sue vittime. Frank è un killer taciturno, discreto, che non ama fare troppe domande. Reduce della campagna d’Italia durante la Seconda Guerra Mondiale, Sheeran fa il camionista, fino a quando incontra Russell Bufalino, esponente di spicco di Cosa Nostra a Filadelfia, che lo prende sotto la sua ala protettrice. Grazie a Bufalino e a Jimmy Hoffa, potentissimo boss del sindacato degli autotrasportatori, Sheeran costruisce una carriera in bilico tra attività pubblica e malavita. Uomo d’onore lontano dall’estetica del mafioso americano disinvolto e rumoroso, paradossalmente mite ed essenziale, Sheeran è prigioniero di un mondo senza via di uscita. Ed è lui, vecchio, a raccontarci la sua vicenda – spaccato oscuro di quarant’anni di vita americana – solo , abbandonato alla sua incapacità di provare rimorsi o rimpianti, convinto ormai che l’incontrovertibile cammino della Storia lo abbia indirizzato al proprio destino, parla allo spettatore a ruota libera.
Adattando il saggio L’irlandese – Ho ucciso Jimmy Hoffa, scritto nel 2004 da Charles Brandt e basato sulla vita di Frank Sheeran, Martin Scorsese torna a raccontare le gesta del mondo dei gangsters mettendo da parte l’epica ironica di Quei bravi ragazzi o la sfarzosa parabola di ambizione e caduta di Casinò, per rifugiarsi in una narrazione ridotta all’osso, intrisa di disincanto e della vis malinconica di chi, guardando indietro, vede solo una scia di sangue, lutti e perdite, un teatro degli orrori privo di ogni catartica grandiosità. Anche la violenza, cifra segnante della sopraffazione di una società empirica e inevitabilmente maschile, è silenziata, secca, antispettacolare: rappresenta l’inevitabile via di fuga di un mondo dominato da regole di sopraffazione che nessuno osa mettere in discussione. In fondo il mondo di The Irishman è dominato da piccoli uomini che si atteggiano a giganti, da fili invisibili e cappi mortali, da marionette umane sottomesse a un’abitudine che mescola devozione e tradimento, finendo per soffocare la realtà degli affetti in un groviglio mortifero di scelte imposte e inevitabili tradimenti.
LEGGI L'ARTICOLO COMPLETO:
ABBONATI A POLIZIA E DEMOCRAZIA
Per informazioni chiama il numero 06 58331846
|