È il quarto anno di seguito che il numero dei detenuti cresce da quando si sono esauriti gli effetti delle misure straordinarie in atto dopo la condanna della Corte Europea per i diritti umani
nche il 2019 si è chiuso con un incremento della popolazione detenuta: 1500 detenuti in più rispetto allo scorso anno. È il quarto anno di fila che la popolazione detenuta cresce, quattro anni da quando si sono esauriti gli effetti delle misure straordinarie messe in atto dopo la condanna della Corte europea per i diritti umani per il sovraffollamento penitenziario. Condannati nel 2013, quando nelle carceri italiane erano ospitati 62 mila detenuti, eravamo scesi fino a 52 mila detenuti nel 2015, ma da allora l’aumento è costante e siamo di nuovo oltre i 61 mila detenuti. Punto e daccapo. Nel frattempo, la capienza detentiva è sempre ottimisticamente valutata in circa 50 mila posti letto, e dunque il tasso di affollamento ha ormai superato il 120% sul territorio nazionale, ma in molti istituti è ben oltre il 150%, il che significa che ogni tre detenuti, uno è di troppo.
Naturalmente, il sovraffollamento carcerario si riflette sull’intero sistema penitenziario: non sono solo gli spazi che vengono a mancare, i letti a castello che si moltiplicano, le stanze che si affollano, ma tutte le risorse diminuiscono in maniera corrispondente, da quelle umane a quelle per l’assistenza sanitaria e per il reinserimento sociale dei condannati. Il personale penitenziario (e in modo particolare quello di polizia) è sovraccarico, ma anche quello sanitario, e finanche i volontari faticano a star dietro alle richieste di aiuto. Cinquantatré sono stati i suicidi in carcere nel corso del 2019, secondo l’Osservatorio promosso da Ristretti orizzonti, cui si accompagnano alcune decine di tentativi non riusciti (grazie al pronto intervento di compagni di stanza, poliziotti e sanitari) e sono migliaia gli atti di autolesionismo. Decine certamente, più probabilmente centinaia sono stati, infine, gli episodi di violenza e di conflittualità in carcere, tra detenuti e tra agenti e detenuti, in un clima di tensione sempre più palpabile di cui le inchieste e le denunce pubbliche sono solo la punta dell’iceberg di una realtà che rimane sotto il livello d’emersione.
Chi conosce e frequenta le carceri italiane sa bene che la situazione è molto delicata: il sovraffollamento penitenziario è arrivato di nuovo ai limiti della tollerabilità, i detenuti ne soffrono, i lavoratori anche. Servirebbe uno sforzo straordinario di tutte le istituzioni per contenere gli ingressi in carcere, per facilitarne le uscite, per ottimizzare le risorse umane e finanziarie nel perseguimento dei fini costituzionali della pena. Servirebbe un’adeguata sensibilizzazione dell’opinione pubblica, come fu fatto in occasione della condanna della Corte europea per i diritti umani nel 2013, su impulso dell’allora Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano.
Tornano, invece, ripetute contrapposizioni, tra agenti e detenuti, tra custodi e custoditi, che non aiutano né gli uni né gli altri e, anzi, alimentano quella tensione che si vorrebbe superare. Così è stato per alcune reazioni alle notizie di procedimenti penali istruiti a carico di poliziotti su segnalazione dei Garanti dei detenuti, per la nomina a Garante di una importante città come Napoli di un ex-detenuto, per le critiche rivolte dal Garante nazionale a un video istituzionale che rappresentava la polizia penitenziaria come un corpo speciale destinato a funzioni militari, senza valorizzarne le specifiche competenze professionali nella gestione della sicurezza all’interno degli Istituti e nella osservazione dei detenuti ai fini del trattamento rieducativo richiesto dalla Costituzione e dalle leggi.
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