Cento anni dalla nascita del “montanaro di Cuneo”
are soldi, per fare soldi, per fare soldi: se esistono altre prospettive, chiedo scusa, non le ho viste. Di abitanti cinquantasettemila, di operai venticinquemila, di milionari battaglioni affiancati, di librerie neanche una…
È l’attacco, memorabile e fulminante, di un libro-inchiesta Miracolo all’italiana, di uno dei massimi giornalisti del nostro paese, scomparso oramai da qualche anno, come Giorgio Bocca, che amava definirsi, senza falsa modestia e più semplicemente, un cronista. E, in effetti, per moltissimi anni Giorgio Bocca ha fatto il cronista. Ha raccontato nei suoi pezzi, con una prosa asciutta e, a volte, scarna ma sempre molto efficace, ciò che accadeva nei vari angoli del mondo, nei posti più incredibili e più improbabili. Alcuni dei suoi articoli più belli sono stati raccolti nel volume Giorgio Bocca, il partigiano della parola uscito nel 2012 nella collana dei libri per la biblioteca di Repubblica-L’Espresso, curato da Piero Colaprico e con la prefazione di Eugenio Scalfari che ha scritto, nelle pagine iniziali: “L’ultima volta che l’ho visto stava seduto alla sua scrivania, pallidissimo, il volto scavato con le ossa della fronte, degli zigomi e delle mascelle coperte dalla pelle e gli occhi fissi davanti a sé che guardavano il vuoto. Gli chiesi se avesse dolore in qualche parte del corpo. Rispose «No, nessun dolore». Questo è un buon segno – gli dissi mentendo,– ma come ti senti? Mi guardava senza alcuna espressione, poi la bocca accennò un sorriso. La risposta fu «non ci sono». La moglie Silvia si era seduta accanto a lui, gli carezzò lievemente la guancia e quasi per cambiar discorso disse: «Per pranzo gli ho preparato la luganiga, gli piacciono quelle salsicce cotte nel vino». Ma le può mangiare? «Le assaggia». Gli domandai se leggeva i giornali. Rispose: «Non c’è niente da leggere». Insistei: La politica ti interessa sempre?. Rispose: «Non c’è politica». Poi fu lui a chiedermi: «Tu come fai a scrivere ancora?». Risposi che il mestiere, se lo hai imparato fin da ragazzo, è lui che ti porta sulle spalle e tu vai avanti senza fatica. Lui commentò: «Per me il mestiere non c’è più, se n’è andato prima di me ma l’attesa ormai sarà breve». Poi si voltò verso Silvia e lei mi disse che era stanco. Mi alzai, andai verso di lui e ci baciammo. Tornerò presto. «Non mi troverai, non venire, sarebbe inutile». Sono uscito con una grande tristezza in cuore. Quando l’amica del destino è arrivata all’appuntamento e ha portato via la sua spoglia l’anima se n’era già andata e lui me l’aveva detto: non ci sono più… Giorgio è stato un grande giornalista, un grande cronista e un grande scrittore. Non era un letterato ma uno scrittore si, dei vezzi letterari non aveva bisogno, era la fantasia a muovergli la mano e la penna. Vedeva i fatti, i luoghi, i personaggi e li raccontava ma la fantasia li associava ad altri personaggi, ad altri luoghi, ad altri fatti. Passava da un tempo ad un altro, da un luogo ad un altro luogo senza separarli neppure con un , neppure con un punto, al massimo una virgola. La fantasia fa di questi miracoli e lui, sotto la maschera del contadino e del provinciale, sentiva e raccontava l’avventura delle persone, poi all’improvviso alzava gli occhi verso il cielo e descriveva le stelle come intermezzo e poi tornava a raccontare la storia d’un bandito o d’un corruttore, d’un mondo dove i leoni avevano lasciato il posto alle volpi e alle faine…”.
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