Una storia che nessuno vorrebbe scrivere: per la vergogna anche la carta e l’inchiostro vorrebbero rifiutarsi
28 luglio 1985 a Palermo veniva ucciso dalla mafia il commissario Beppe Montana e a seguito delle indagini veniva arrestato Salvatore Marino. Per una intera notte venne torturato in questura con ingestione di acqua e sale tanto da morirne. Gli autori si fecero prendere dal panico e inventarono un racconto: dissero di averlo trovato sull’arenile di Sant’Erasmo e di aver conseganto il cadavere a una volante che lo trasportò in ospedale.
Successe un pandemonio mediatico tanto da interessare i giornali di tutto il mondo che pubblicarono la foto del suo cadavere all’obitorio con la faccia tumefatta e il corpo straziato.
Il ministro dell’Interno Scalfaro intervenne dicendo che negli uffici di polizia: “Si deve entrare e uscirne vivi”.
Frase, lapalissiana e ovvia ma che non ebbe gli stessi effetti 50 anni orsono quando l’anarchico Giuseppe Pinelli volò giù da una finestra dell’ufficio politico della questura di Milano dopo essere stato dichiarato in stato di fermo per ben 72 ore (un fermo risultato poi illeggittimo).
Le accuse nei suoi confronti di aver organizzato la strage nella banca della Agricoltura di Piazza Fontana erano e sono prive di ogni fondamento.
Corre l’obbligo di tornare indietro a quel tempo per non fare scomparire la memoria di quei giorni che hanno segnato il nostro paese, che corse il rischio di essere conseganto a una dittatura fascista.
Come noto dopo i 17 morti causati da un ordigno posizionato nel pomeriggio del 12 dicembre 1969 venne montata dai vertici centrali della polizia una studiata azione di stravolgimento dei fatti, incanalando le indagini verso gli anarchici, giungendo all’arresto di Pietro Valpreda che risultò innocente dopo inenarrabili azioni processuali durati anni e anni.
Colui che svolse le prime indagini a Padova, cioè il commissario di polizia Pasquale Iuliano, addirittura aveva avvisato la magistratura prima di quell’attentato che erano imminenti degli attentati su tutto il territorio nazionale ma fu accusato di aver costruito prove false contro gli estremisti neri.
Gli accertamenti della scientifica avevano appurato che i frammenti della borsa servita al contenimento dell’esplosivo e un’altra borsa che non era esplosa in un altro luogo di Milano, erano di marca Mosbach&Gruber.
Il commissario Iuliano, facendo delle indagini, accertò, senza ombra di dubbio, che alcune borse della stessa marca e colore erano state acquistate in quei mesi a Padova, presso il negozio di pelletteria Al Duomo da Franco Freda, noto fascista ed estremista, come da testimonianza fatta dal proprietario del citato negozio Fausto Giurato.
Nel contesto delle sue indagini il commissario aveva accertato che sia Franco Freda che Giovanni Ventura avevano creato un’associazione denominata Ordine Nuovo atta a porre in essere attentati facendo ricadere la colpa degli stessi verso gli anarchici. Giova specificare che nel corso degli anni, dopo numerosi processi, venne accertata senza ombra di dubbio che detta organizzazione agiva in piena collaborazione e copertura con i servizi segreti.
Ma ritorniamo al commissario Iuliano che da solo aveva scoperto la ramificazione fascista addirittura identificando gli autori della strage ma venne immediatamente messo sotto inchiesta, sospeso dalla sua funzione e dallo stipendio e accusato di aver costruito prove false.
Venne così trasferito a Ruvo di Puglia in pratica a fare il passacarte. Dopo dieci anni venne assolto dai fatti a lui attribuiti ma nel 1980 si dimise dalla polizia tornando nella sua città natale, Matera, dimenticato da tutti. Visse così tra telefonate anonime minacciose e insulti continui.
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