Cinquant’anni fa la strage di Piazza Fontana. Una bomba col timer programmato per le 16:37. L’esplosione si sente a chilometri di distanza. Quel giorno l’Italia prende atto di una realtà amara e tragica: esiste un Stato nello Stato che lavora contro lo Stato
Quel giorno è un venerdì. Umido, piovoso, buio. Del resto è dicembre, manca poco al Natale. Alla Camera dei deputati, a Roma si sta approvando, in quelle ore, lo Statuto dei lavoratori fortissimamente voluto dal socialista Giacomo Brodolini e dal democristiano Carlo Donat Cattin, e in gran parte redatto dal giuslavorista Gino Giugni. Passerà poi al Senato, e ancora alla Camera: il 21 maggio 1970 diventerà finalmente legge.
Sono le settimane e i mesi dell’“autunno caldo”: un forte movimento operaio, soprattutto metalmeccanici, è mobilitato nelle fabbriche del nord; molte facoltà universitarie sono occupate.
Quel venerdì umido, piovoso, buio, a Milano la Banca Nazionale dell’Agricoltura con sede a piazza Fontana, a fianco della centralissima piazza Duomo, è affollata: si chiudono le ultime contrattazioni del mercato agricolo e del bestiame: contadini, commercianti, mediatori…
Il boato è tremendo, l’odore di cordite brucia i polmoni. Mentre nell’aria si spande il caratteristico odore di mandorle, la bomba uccide diciassette persone; 88 i feriti.
Gli investigatori vanno a colpo sicuro: sono stati gli anarchici. Dopo qualche giorno un ballerino, Pietro Valpreda, viene indicato come il “mostro”. È lui, l’autore della strage. Sarebbe più esatto dire: “sono loro”, dal momento che gli attentati sono cinque, simultanei: tre a Roma, due a Milano. A Roma, per fortuna, qualche ferito solamente. A Milano, ancora più fortuna, l’ordigno, per un difetto dell’innesco, non esplode. Avrebbe provocato almeno un centinaio di vittime, collocato com’era a piazza della Scala.
Ma torniamo a Valpreda, agli anarchici. Sono innocenti. Ma in quelle ore, in quei giorni sono gli assassini, gli stragisti. Non solo: un altro anarchico, Pino Pinelli, dopo un interminabile fermo illegale da parte della polizia, vola dal quarto piano della questura. Anche lui è innocente.
Le bombe, ma lo si saprà molto dopo, le hanno messe i fascisti di Ordine Nuovo, quelli che fanno capo a Franco Freda e a Giovanni Ventura. Non hanno fatto tutto da soli: collocare cinque bombe che devono esplodere simultaneamente in luoghi diversi; trovare l’esplosivo; fabbricare gli ordigni, tutto il “progetto” presuppone che ci siano almeno dieci, quindici “manovali”; e poi, delle “menti”: persone che vogliono le stragi per dei loro inconfessabili fini e scopi. Coloro che che nei racconti di Dashiell Hammett vengono definiti “il dito”: indicano chi e quando si deve colpire.
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