Senza licenza del Prefetto è vietato ad enti o privati di prestare opere di vigilanza o custodia di proprietà mobiliari o immobiliari
L'art. 133 del Testo Unico delle Leggi di Pubblica Sicurezza stabilisce che gli “enti pubblici, gli altri enti collettivi, i privati possono destinare guardie particolari alla vigilanza o custodia delle loro proprietà mobiliari o immobiliari”. L’articolo successivo, il 134, dispone che “senza licenza del prefetto è vietato ad enti o privati di prestare opere di vigilanza o custodia di proprietà mobiliari o immobiliari”1.
Appare piuttosto chiaro che chiunque voglia vigilare o custodire un bene mobile o immobile dovrà necessariamente avere, previa licenza prefettizia, la qualifica di guardia particolare giurata.
Necessario, a questo punto, intendersi sul significato dei termini “vigilanza” e “custodia”.
Se si prendono per buoni i significati riportati in un qualsiasi vocabolario, si assume che “vigilare” è sinonimo di “sorvegliare” e vuol dire: “seguire con attenzione e controllare ciò che succede per poter intervenire rapidamente ed efficacemente se necessario”. Custodire, invece, vuol dire: “avere cura, vigilare in maniera responsabile, sorvegliare un luogo, una persona, una cosa, preservandoli dai pericoli”.
Seguendo il significato della lingua italiana, per “proteggere” un bene dall’ “essere sottratto” o “danneggiato”, le azioni da anteporre saranno: la vigilanza e la custodia.
Non sembra distante l’interpretazione giuridica della vigilanza: la Corte di Cassazione con la sentenza numero 14258, del 21 aprile 2006, ha rilevato che l’elemento che qualifica un determinato servizio come “vigilanza privata” che “è dato dal suo porsi come attività di salvaguardia di beni affidati alle proprie cure e quindi, come attività volta in via mediata a contribuire alla preservazione dell’ordine e della sicurezza pubblica“. Sempre la Cassazione ricorda che “qualsiasi forma di attività imprenditoriale di vigilanza e custodia di beni per conto terzi, esige la licenza del Prefetto (art. 134 TULPS), indipendentemente dalle modalità operative con le quali viene espletata”. È importante questo passaggio: i togati sembrano dire, sostanzialmente, che non basta mascherare le attività di vigilanza e custodia con artifizi linguistici, chiamandoli “monitoraggio” o “sorveglianza”, rientra, infatti, nella vigilanza e custodia qualsiasi attività di preservazione del bene nei confronti di atti intenzionali illeciti nei confronti dello stesso.
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