Un pittore della luce e del mare potremmo definirlo, un artista che racconta, da moltissimi anni, le trasparenze uniche e irripetibili di Ponza e di Palmarola, che tratteggia con le sue pennellate agili ma anche marcate e con i suoi colori, a volte accesi e vivaci e a volte più tenui e più delicati, gli scenari acquatici del suggestivo golfo di Gaeta. Eppure il maestro Ruggiero Di Lollo, prima di dedicarsi quasi esclusivamente alle maree, agli orizzonti che si confondono e si uniscono al blu del Mediterraneo, ai tramonti, alle marine e alle burrasche - affiancate negli ultimi anni da una importante e significativa produzione di sculture in bronzo - ha praticato in passato una pittura fortemente e volutamente materica, privilegiando i colori della terra: il “periodo della montagna” in cui emerge un forte legame ancestrale con le proprie origini, espresso dalla densità del colore e dalle tonalità malinconiche e crepuscolari perché Ruggiero Di Lollo non è uomo di mare, è uomo di terra. Originario di Agnone, un paese arroccato fra le alture del Molise, ha avuto fra i suoi maestri Afro, Capogrossi e Turcato, alcuni tra i maggiori interpreti dell’Informale e dell’Astrattismo italiano degli anni Cinquanta e Sessanta, appunto conosciuti da studente a Roma all’inizio degli anni Sessanta quando cominciò a frequentare la storica Accademia di Belle Arti di via Ripetta. “Il grande pittore Mino Maccari - ha ricordato Di Lollo - ci insegnava la tecnica dell’incisione su linoleum e sull’acquaforte.” E la lezione da essi imparata, soprattutto quella di Afro Basaldella - ravvisabile a mio avviso nei suoi acquerelli e nei suoi disegni a china - e poi quella di Giulio Turcato non sembra averla abbandonata nemmeno quando ha deciso di dedicarsi all’elemento della vita per eccellenza: l’acqua.
“E’ anche uomo del Sud, profondamente radicato per esperienze, formazione, elezione dei luoghi di vita e lavoro ai paesaggi fisici e umani meridionali, - ha scritto Philippe Daverio nella prefazione al bel catalogo che presenta la mostra - alle loro tradizioni, ai loro colori e luci, alle loro inquietudini; la sua formazione artistica avviene nell’ambiente romano…Di Lollo è inoltre insegnante e questo, per la sua generazione, significa l’incontro profondo, simpatetico, appassionato con i rivolgimenti degli anni Sessanta. Sono necessarie queste note biografiche perché indispensabili per un corretto posizionamento dell’artista nel più vasto discorso artistico italiano, e per una interpretazione del suo percorso teorico e operativo.”
La luce di Gaeta è il titolo della mostra antologica, aperta dal 7 luglio scorso al 21 settembre, presso la pinacoteca comunale della cittadina pontina in cui l’artista ha ripercorso tutte le tappe fondamentali della sua intera produzione, dai quadri della montagna, ai quadri del mare, dai disegni a china ai pannelli d’acciaio e nitro, dal Cantico dei Cantici alle sculture.
Perché un uomo di terra come il maestro Ruggiero Di Lollo, nato fra i monti - originario del paese delle campane conosciuto in tutto il mondo - a un certo punto ha deciso di abbandonare quei colori più scuri, i colori della terra che hanno caratterizzato la prima produzione, quella degli anni Sessanta, di allontanarsi pian piano da quella pittura materica praticata in gioventù per raccontare il mare?
“E’ un omaggio nei confronti della città che mi ha adottato - ha detto Ruggiero Di Lollo. - Avrei dovuto passare due mesi a Gaeta e invece sono diventati cinquant’anni. Quindi questa mostra è un dovere nei confronti della città nella quale vivo ormai, appunto, da cinquant’anni e dove vorrò rimanere per sempre. Il titolo della mostra è importante, non è solo una frase ma suggerisce il motivo per il quale sono rimasto a Gaeta: qui c’è una luce cristallina, pura, unica che non influenza i colori della tavolozza. Per esempio a Roma la luce è più dorata, influisce sulle architetture barocche, sui mattoni, sul travertino e quindi anche sulla pittura. A Napoli per rendere meglio la luminosità si usa un giallo particolare, sulla costiera amalfitana la luce è pulviscolare, percui le immagini sono più vibranti. A Parigi la luce è d’argento. A Gaeta la luce si avvicina al concetto astratto in cui ci sono tutti i colori e nessuno, cioè luce pura, le immagini non vengono bruciate nei contorni e non vengono alterate nei colori. Ciò è evidente soprattutto da quando ho conosciuto Ponza e Palmarola che dipingo da circa trent’anni, dove la luce esplode attraverso i suoi colori. Poi c’è anche un’altra luce, quella spirituale, quella interiore che aveva illuminato la mia pittura della montagna.”
“I suoi quadri degli anni ’60 - ha scritto ancora Philippe Daverio - sono definibili nella categoria della ricerca materica, ma precisamente delimitata dalla tela e dalla tecnica di stesura e assemblaggio del colore: spatola e pennello definiscono una ricerca informale molto personale ma al contempo in linea con le tendenze internazionali del momento… I pannelli dell’epoca immediatamente successiva costituiscono invece una specie di radicale ritorno alla razionalità, alla campitura rigorosa e concettuale, anche se la tentazione del figurativo, del riconoscibile non è mai completamente eliminata…Molto diverso il discorso della scultura. Qui siamo nel territorio della figurazione tradizionale, il materiale è sempre il bronzo, la serie dei ritratti è quasi fuori del tempo, più concentrata sulla efficacia immediata della percezione che sulla ricerca formale.”
Gli anni Sessanta, quelli della pittura materica. Gli anni Settanta, quelli dei pannelli al nitro su acciaio inox presentati in un bel catalogo con l’introduzione di Filiberto Menna esposti la prima volta nel 1971 presso La Galleria d’Arte La Nuova loggia di Bologna. Gli anni Ottanta, quelli del Cantico dei Cantici e del mare. Gli anni Novanta e Duemila, quelli delle sculture.
Il maestro Di Lollo ha dedicato questa mostra antologica non solo alla sua cittadina d’adozione ma anche ai suoi studenti del liceo scientifico in cui ha insegnato per trentatré anni.
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