L’Italia è uno dei Paesi più anziani al mondo. Si prevede che nel 2050
il numero delle persone con più di 75 anni passerà da 7 a 12 milioni
Entro il 2050 secondo le stime del World Urbanization Prospetcs del 2018 (ONU), i due terzi della popolazione mondiale sarà concentrata nelle grandi aree urbane, soprattutto dei paesi in via di sviluppo come India, Cina e Nigeria. Già nel 2014 la popolazione urbana aveva raggiunto il 54% della popolazione mondiale. Questa distribuzione della popolazione avrà conseguenze sia per l’aspetto della gestione che dell’organizzazione del welfare del futuro. L’Italia è uno dei paesi più anziani al mondo (insieme a Germania e Giappone) e si prevede che da qui al 2050 il numero delle persone con più di 75 anni sia destinato a salire da 7 a 12 milioni (+74 per cento), passando dall’11 per cento della popolazione al 21 per cento.
Nel 2045 la percentuale di popolazione con più di 65 anni sarà superiore al 33% mentre la popolazione totale diminuirà per via del calo delle nascite. Il 78% di tutta la popolazione sarà concentrata nelle grandi città, senza contare il problema della qualità dell’invecchiamento: invecchiare non sempre garantisce anche l’autosufficienza e l’analisi delle previsioni ISTAT portano ad immaginare - almeno in un prossimo futuro - un aumento delle non-autosufficienze proporzionale all’aumento del numero degli anziani.
Come verrà gestito in Italia l’invecchiamento e quale forma di welfare il paese potrà garantire in futuro - Attualmente in Italia, è la famiglia che continua a svolgere un ruolo chiave nel lavoro di cura. Tuttavia se il tasso di occupazione femminile – attualmente ancora oscillante attorno al 50% - riuscirà – come speriamo – ad attestarsi vicino alla media europea (61,5%), ciò comporterà un ridimensionamento del lavoro di cura in ambito famigliare tale da ridurre la disponibilità delle donne di circa 2 milioni e 500 mila unità (Ricerca Auser Spi CGIL anno 2017).
Nel 2015 una ricerca del Censis aveva indicato che oltre 51% delle famiglie con un anziano non autosufficiente avevano dovuto utilizzare tutti i propri risparmi o vendere l’abitazione (nuda proprietà) per far fronte ai costi per l’assistenza. Sempre il Censis nel “Rapporto sulla situazione sociale del Paese” ha stimato in 9 miliardi l’anno la retribuzione delle badanti e in 4,6 miliardi le spese medico sanitarie (farmaci, trattamenti di riabilitazione, visite, esami, analisi ecc.) . Ciò significa che una famiglia con un componente non autosufficiente deve affrontare una spesa sanitaria privata pari a più del doppio delle altre famiglie.
Le famiglie italiane sono sempre più in difficoltà nel sostenere i costi per l’assistenza di un proprio caro non autosufficiente. L’assistenza (che per la parte pubblica comprende l’assistenza sociale, mentre per quella socio-sanitaria è inglobata nella sanità) è a tutt’oggi un’area critica. Il suo valore complessivo – ci dice l’Osservatorio sul bilancio del welfare delle famiglie del 2017 – è di 31,4 miliardi, l’1,9% del PIL. Questo livello sembra inadeguato a fronte del progressivo invecchiamento della popolazione e dell’emergere di nuovi bisogni di cura delle persone e di sostegno alle famiglie. La spesa pubblica contribuisce per il 52,4% (molto meno che per altri settori). Come è noto, le prestazioni di assistenza sociale sono affidate principalmente alle amministrazioni locali, sempre più in difficoltà a causa della riduzione delle risorse disponibili. Dunque buona parte della spesa per assistenza è sostenuta direttamente dalle famiglie: 14,4 miliardi, il 48,8% del totale.
Ma i problemi non sono solo i costi. Mancano supporti per i cittadini che garantiscano la qualità dei servizi e ne facilitino la reperibilità. In Italia quando si fa riferimento all’assistenza continuativa degli anziani, o LONG TERM CARE (LTC) si intendono, fondamentalmente, tre tipi di servizi che hanno come finalità quella di soddisfare il bisogno assistenziale determinato dall’insorgere della non autosufficienza: gli interventi domiciliari, quelli residenziali e le prestazioni monetarie, a seconda che siano forniti a domicilio, in centri diurni e in strutture residenziali o attraverso trasferimenti monetari (che includono le indennità di accompagnamento per invalidità civile).
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