Un grande protagonista dell’arte italiana, un artista colto e raffinato. Pur appartenendo alla generazione dei favolosi anni Sessanta, quella di Mario Schifano, di Tano Festa e di Franco Angeli, non ha mai fatto parte di quel gruppo. Per lui fare pittura vuol dire esplorare il territorio dell’ignoto e del profondo, un atto sempre nuovo e imprevedibile. Ennio Calabria è una figura centrale nel panorama artistico e culturale italiano della seconda metà del Novecento. La sua ricerca è caratterizzata dalla forza del linguaggio pittorico e dalla tensione del suo pensiero, entrambi strettamente connessi per provare a decifrare e a raccontare la realtà contemporanea.
Nato a Tripoli nel 1937, la sua opera è caratterizzata dalla continua necessità di rifondare la pittura in relazione ai grandi cambiamenti della società. Alcuni elementi, come il mare che è poi quello della sua città che resterà impresso nella memoria dell’artista come il “grande biancore”, e gli animali, che da bambino disegnava ogni giorno al giardino zoologico di Roma, caratterizzano i suoi quadri.
Importante nella sua formazione la frequentazione dello studio di Lorenzo Micheli Gigotti, docente dell’Accademia di Belle Arti, e poi l’incontro con Giuseppe Armocida e Lino Bianchi Barriviera. Fondamentali le sue esperienze all’Accademia di Danza e al Mattatoio. Alla prima disegna le ballerine e al secondo assiste al macello degli animali, dove viene colpito dal senso di morte che abita quel luogo.
Il suo esordio avviene con una mostra l’8 novembre 1958 alla galleria La Feluca di Roma. All’inaugurazione erano presenti importanti critici e artisti: Antonio Del Guercio, Dario Micacchi, Duilio Morosini, Marcello Venturoli e poi Ugo Attardi, Renato Guttuso, Renzo Vespignani.
Ha scritto Ida Mitrano, autrice del libro Ennio Calabria. Nella pittura la vita e del bel catalogo che racconta la mostra di Ennio Calabria, organizzata lo scorso gennaio a Palazzo Cipolla a Roma e curata da Gabriele Simongini dal titolo Verso il tempo dell’essere. Opere 1958-2018: “Oggi la società appare cambiata nei suoi fondamenti e soprattutto, non è più interessata a un’arte dell’impegno ... Per te, che sei un artista, impegnato in tal senso, il rapporto con la società però rimane fondamentale ... Tu stesso più volte hai affermato che l’artista è un testimone ma se in passato questo ruolo aveva valore sociale, nella nuova condizione sembrerebbe non avere più un senso. E se anche un senso lo ha ancora è necessario interrogarsi sul significato attuale di ‘testimonianza’ ... Ed è anche necessario chiedersi se si è testimoni della vita o della morte del nostro tempo. Mi sembra un punto importante da chiarire. Così come chiedersi perché mai continuare a essere un artista impegnato”. Ha replicato Ennio Calabria: “Tanti anni fa, all’epoca avevo ventuno anni, Duilio Morosini mi disse che ero l’unico pittore epico. Questo è un punto molto importante. Guttuso affermava che un uomo arrabbiato che dipinge una mela, è molto più drammatico di un uomo tranquillo che dipinge una battaglia. Oggi appare sempre più chiaro che se c’è una caratteristica degli artisti che è stata sempre inedita, anche se a volte non compresa, è che sono geneticamente fondatori attraverso se stessi. In poche parole, non derivano da ideologie o culture, ma ne sono una sintesi che è rifondante, che riparte dal sé. Da questo punto di vista, oggi è ancora più chiaro che l’artista in realtà testimonia se stesso vivente attraverso se stesso. Non è uno che racconta o testimonia raccontando il tempo ma è lui l’espressione vivente organica del tempo. Per quanto mi riguarda, sono arrivato alla convinzione di essere un pittore che ha questa caratteristica, cioè sono un pittore sociale. E’ il mio modo di essere, Non c’è una ragione. Io sono un testimone che per propria geneticità, è un testimone sociale, un testimone interessato alla dimensione umana compromessa dentro le vicissitudini della storia”.
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