In un libro la storia del movimento
democratico del Corpo delle Guardie
di Pubblica Sicurezza che ha portato
a una nuova Polizia democratizzata
e smilitarizzata per la quale
si è battuto Franco Fedeli
Per una polizia nuova: nel titolo del volume di Michele Di Giorgio, giovane storico molisano, edito da Viella, è racchiuso il senso della battaglia del movimento dei poliziotti democratici che, a partire dalla fine degli anni ’60, ha lottato affinché il Corpo delle Guardie di Pubblica Sicurezza smettesse di essere considerato semplicemente strumento del potere per la repressione del dissenso e il mantenimento dell’ordine pubblico, ma venisse finalmente riconosciuto quale istituzione della Repubblica a tutela dei diritti dei cittadini, così come prevede la Costituzione. Non fu solo una battaglia corporativa, quella dei ‘carbonari’, che chiedevano anche migliori condizioni economiche e di lavoro, col pieno riconoscimento dello status di lavoratori, ma fu anche altro: l’obiettivo era una polizia più efficiente, al servizio delle persone. Una nuova polizia, democratizzata e smilitarizzata. Protagonista del movimento, i cui promotori, essendo militari, erano costretti a riunirsi di nascosto, fu il giornalista Franco Fedeli, fondatore della nostra rivista. All’epoca direttore di Ordine pubblico e poi di Nuova Polizia e Riforma dello Stato, Fedeli comprese che il vero cambiamento sarebbe potuto avvenire soltanto considerando ogni poliziotto come un cittadino lavoratore. Da qui il suo incessante impegno a fianco dei poliziotti democratici e a supporto della sindacalizzazione della polizia. È una storia poco conosciuta, anche tra gli stessi poliziotti. È una storia di faticosa conquista di diritti e libertà, magistralmente ricostruita da Di Giorgio nelle pagine del suo libro, frutto di anni di ricerche d’archivio, interviste, consultazioni di riviste dell’epoca.
Polizia e Democrazia l’ha incontrato.
Dott. Di Giorgio, per quali motivi, nell’ambito delle ricerche sulle Istituzioni repubblicane, la storia delle polizie è un tema ignorato dalla maggior parte degli studiosi?
In Italia le polizie sono state per molto tempo una sorta di “buco nero”, un “oggetto smarrito” della storia e delle scienze sociali (per utilizzare la definizione di due storici francesi). I motivi che hanno portato a questo ritardo nella storiografia italiana sono principalmente due. Da un lato, c’è stata da parte degli studiosi una certa ritrosia nei confronti di questo tema, una ritrosia figlia di preconcetti più o meno ideologici e talvolta di una vera e propria chiusura mentale. “La polizia? La si approva o la si critica; non la si studia”, scrisse in maniera provocatoria il criminologo Denis Szabo; in Italia gli studiosi per un lungo periodo hanno seguito questo adagio.
Su un altro fronte, tuttavia, il motivo principale di questa arretratezza degli studi italiani sulle polizie contemporanee risiede soprattutto nella scarsa disponibilità di fonti d’archivio. E se in tempi recenti un po’ di carte sull’attività della Pubblica Sicurezza nella Repubblica sono emerse, non possiamo dire lo stesso per l’attività dell’Arma dei Carabinieri di cui, ad eccezione del Pane, amore e fantasia promosso dai racconti istituzionali, conosciamo davvero poco.
... [continua]
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