L’istituto della prescrizione in ambito penale ha la semplicissima funzione di garantire che, per ogni cittadino, colpevole o meno, esiste un limite temporale oltre il quale non può essere processato, giudicato e punito. Il limite temporale, correttamente, varia in proporzione alla gravità del reato: tanto più è grave la conseguenza penale, tanto più sarà lungo il tempo in cui il processo può estendersi. Nel nostro ordinamento penale è bene ricordarsi che esistono anche reati imprescrittibili, pochi e gravissimi (cfr. art. 98 c.p. e in ambito di diritto penale internazionale).
La prescrizione è un istituto voluto dai grandi pensatori del settecento che, con la loro ideologia, costruirono un diritto penale di matrice democratica. Il grande studioso Cesare Beccaria, autore del libro Dei delitti e delle pene, più di circa tre secoli fa, riteneva che un paese democratico non potesse arrogarsi il diritto di giudicare e punire all’infinito i suoi cittadini, fossero anche colpevoli. Oggi il suo pensiero è notevolmente rafforzato, tanto più se, Costituzione alla mano, si deve presumere che chi è sottoposto a procedimento penale fino a sentenza definitiva debba considerarsi innocente.
Dall’epoca di “Mani pulite” nel sistema penale italiano è stato fatto un uso smisuratamente distorto della prescrizione, facendola diventare spesso un obiettivo della strategia difensiva cercando, con tecniche dilatorie, di arrivare alla prescrizione del reato, cioè a un pronunciamento che renda impossibile accertare con una sentenza definitiva la colpevolezza dell’imputato (la recente storia processuale penale italiana è piena di prescrizioni soprattutto di personaggi economicamente potenti). Quel che non si dice mai, in questo dibattito spesso adulterato, è che i termini della prescrizione non sono il vero problema del nostro processo penale. Il “vulnus” del nostro sistema penale non è nelle norme sulla prescrizione ma nella scandalosa lentezza del sistema giudiziario e processuale italiano.
È questo il vero cancro che uccide la nostra giustizia e l’alto numero di dichiarazioni di prescrizione non è patologico ma è soltanto una conseguenza della cosiddetta “mala giustizia”. È come se fossimo dinanzi ad una grave infezione e decidessimo di non assumere l’antibiotico come cura necessaria. Personalmente ritengo che intervenire sui termini della prescrizione, senza risolvere i problemi del sistema giudiziario e della lentezza dei processi, sia come assumere un’aspirina per sconfiggere il cancro che provoca metastasi.
La nostra giustizia penale ha bisogno di riforme serie, oculate e generali, affrontando anche una seria politica di depenalizzazione. Ancora una volta, invece, si delega al diritto e al processo penale la risoluzione di problemi che competono a scelte politiche di lungo termine come accade in tutti i paesi civili del mondo. Preferire la semplificazione alla complessità, optare per il particolare senza affrontare il generale non mi trova d’accordo.
In uno Stato di matrice democratica come il nostro, un processo non può durare in eterno e non sarà la prescrizione a risolvere questo problema poiché le vittime restano col loro dolore e le discrasie giuridiche segneranno inesorabilmente la strada del futuro sistema giudiziario italiano.
*giurista, già docente di diritto penale presso l’Alta Scuola
di Formazione della Presidenza del Consiglio in Roma
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