Trattati come schiavi, costretti a lavorare nei campi sotto il sole
per 12 ore al giorno. Pagati 4 euro l’ora. Vittime di violenze,
vessazioni e incidenti mai denunciati
Marco Omizzolo, giornalista e sociologo, è ricercatore Eurispes e il responsabile scientifico dell’associazione In Migrazione che si occupa da anni del fenomeno dello sfruttamento del lavoro nell’area dell’Agro Pontino.
Dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella è stato insignito dell’onorificenza di Cavaliere dell’ordine al merito della Repubblica italiana per la sua coraggiosa opera in difesa della legalità, attraverso il contrasto al fenomeno del caporalato.
Quanti sono oggi i lavoratori immigrati che lavorano in quest’area? Da quanto esiste questo sistema di sfruttamento? Perché solo ora si accendono i riflettori su questa vicenda?
La comunità indiana nella provincia di Latina nasce attorno alla metà degli anni 80. E’ una comunità stanziale, radicata e ancora prevalentemente presente lungo i comuni della fascia costiera dove c’è un certo tipo di agricoltura, intensiva, diffusa, su terreni pianeggianti, con attività stagionale, di nove mesi prevalentemente, con un sistema aziendale medio grande. La comunità è impiegata soprattutto nel bracciantato perché l’agricoltura è un settore dove vi è richiesta di manodopera, la quale tradizionalmente vive tra legalità e illegalità. Con i migranti, l’aspetto illegale è stato prevalente. Ho scritto la mia tesi di dottorato sulla comunità indiana pontina e soprattutto ho deciso di infiltrarmi nelle campagne come bracciante, lavorando diversi mesi sotto caporale indiano e datore di lavoro italiano. Facendo vita di bracciante, circa 7 anni fa, ho visto come vengono reclutati e poi trattati molti braccianti indiani. Ho scoperto che invece di essere retribuiti 9 euro lorde l’ora, come è previsto dal contratto per lavorare 6 ore 30, venivano pagati 2 euro l’ora per lavorare 14 ore al giorno, a volte tutti i giorni del mese. Ci sono stati casi di lavoratori indiani pagati anche 50 centesimi. Il bracciante è costretto ad abbassare la testa e a fare tre passi indietro dinnanzi al datore di lavoro, che pretende di essere chiamato “padrone”. Una buona parte del mondo imprenditoriale agricolo pontino per la prima volta si è trovato a dover fronteggiare quello che per circa 20 anni aveva compiuto impunemente nel territorio, praticando un sistema di sfruttamento che gli ha procurato milioni e milioni di euro sottratti, non solo ai lavoratori e alle lavoratrici ma anche allo Stato. Si tratta di evasione contributiva, tributaria, tutte risorse che il sistema dello sfruttamento drena e che rimangono nelle tasche dello stesso anziché in quelle dello Stato. Secondo l’Eurispes, il business delle Agromafie in Italia è di 21,8 miliardi di euro in un anno solo in agricoltura. Nell’ultimo anno vi è stato un aumento del 30 % di questo valore. Ciò significa che il fenomeno dello sfruttamento ormai è sistemico e noi ne abbiamo avuto prova proprio nel Pontino. ... [continua]
LEGGI L'INTERVISTA COMPLETA:
ABBONATI A POLIZIA E DEMOCRAZIA
per informazioni chiama il numero verde 800 483 328
oppure il numero 06 58331846
|