Il nome dell'imprenditore Mario Ciancio Sanfilippo (che compirà 87 anni il prossimo 29 maggio) viene iscritto nel registro degli indagati della Procura di Catania il 20 marzo del 2009, il reato ipotizzato è quello di concorso esterno in associazione mafiosa. La notizia resta segreta fino al 30 novembre dell'anno successivo, quando Il Fatto Quotidiano dedica un'intera pagina all'indagine dei pm della Dda etnea, sull'editore-direttore del quotidiano La Sicilia.
Nel maggio del 2012, i pm chiedono al gup l'archiviazione per carenza di elementi a carico dell'indagato ma il giudice Luigi Barone respinge la richiesta e dispone un supplemento d'indagine, aggiungendo il riciclaggio di denaro di illecita provenienza fra i filoni da indagare.
Le nuove indagini ingrossano il fascicolo, molti materiali probatori arrivano dal procedimento a carico di Raffaele Lombardo, l'ex presidente della Regione Siciliana finito sotto processo per i suoi rapporti con Cosa Nostra (come il suo predecessore, Totò Cuffaro), la cui vicenda è intrecciata con quella di Ciancio, perché proprio dalla Regione sarebbero stati autorizzati una serie di affari assai lucrosi e poco trasparenti di cui Ciancio avrebbe beneficiato e nei quali erano coinvolte imprese mafiose. Il primo aprile del 2015, la Procura, in seguito alle nuove acquisizioni, cambia opinione e chiede al gup il rinvio a giudizio dell'imprenditore «per avere concorso esternamente all’associazione mafiosa Cosa Nostra nell'arco di oltre 40 anni sia come imprenditore, sia come direttore del giornale La Sicilia, sia come editore».
Nel frattempo, il giudice Barone ha chiesto e ottenuto dal Csm il trasferimento in un'altra città e, in sua sostituzione, dal Tribunale civile di Catania, è arrivata la giudice Gaetana Bernabò Distefano che, malgrado l'inesperienza in sede penale, eredita il complesso fascicolo su Mario Ciancio Sanfilippo. Il 21 dicembre, la gup deposita una sorprendente sentenza di non luogo a procedere «perché il fatto non è previsto dalla legge come reato». Cioè, a suo dire, il concorso esterno in associazione mafiosa non esisterebbe, malgrado numerose sentenze della Corte di Cassazione, anche a Sezioni Unite, certifichino l'opposto: quel reato esiste. E non ha origine giurisprudenziale come, con «una premessa del tutto errata», ha stabilito la Corte Europea dei Diritti dell'Uomo nel caso dell'ex alto funzionario del Sisde Bruno Contrada, poiché «la punibilità del concorso eventuale di persone nasce, nel rispetto del principio di legalità» sancito dalla Costituzione «dalla combinazione tra le singole norme penali incriminatrici speciali e l'articolo 110 cod. pen.» chiarisce quinta sezione della Cassazione che, il 14 settembre 2016, in seguito al ricorso della Dda etnea e di una delle parti civili (la famiglia del commissario di Polizia Beppe Montana, assassinato a Palermo nell'estate del 1985). La Suprema Corte annulla con rinvio la «abnorme» sentenza di proscioglimento, rilevando, fra l'altro, la contraddittorietà della decisione della gup perché «è proprio il giudice dell'udienza preliminare a sottolineare più volte la necessità di approfondimenti istruttori anche specificamente indicati con ciò dimostrando che il quadro probatorio era suscettibile di arricchimento».
L'1 giugno 2017, la giudice dell'udienza preliminare Loredana Pezzino, in accoglimento della richiesta della Procura di Catania, rinvia a giudizio Mario Ciancio per concorso esterno in associazione mafiosa. Il dibattimento è iniziato il 20 marzo 2018, nel nono anniversario dell'iscrizione nel registro degli indagati dell'imprenditore.
Il 20 settembre 2018, infine, il Tribunale di Catania per le Misure di Prevenzione ha emesso una lunga e articolata sentenza (400 pagine) con la quale dispone il sequestro e la confisca di beni di proprietà di Mario Ciancio Sanfilippo per il valore di quasi 160 milioni di euro (l'appello è in corso).
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