“Dopo l’arresto di Mussolini molti giornali che fino al giorno prima
erano megafono del regime, vennero offerti a direttori
che li trasformarono in quotidiani simbolo dell’antifascismo. Così
può essere anche con il quotidiano catanese” ha detto Claudio Fava,
presidente della Commissione Antimafia all’assemblea
regionale siciliana
Raccontare Mario Ciancio Sanfilippo, «l’editore più affermato del Mezzogiorno» secondo la Commissione Parlamentare Antimafia, è impresa ardua, così com'è arduo individuare un punto d'inizio, l'incipit di una storia che, per certi versi, è anche la storia di Catania (ma non solo) dell'ultimo mezzo secolo. La scelta più semplice, sarebbe di affidarsi alla dura prosa degli atti giudiziari e seguirne le orme cronologicamente – Ciancio è sotto processo a Catania per concorso esterno in associazione mafiosa e gli è stato confiscato, con sentenza di primo grado, un ingente patrimonio – attraverso le parole di una ventina di pentiti, le innumerevoli intercettazioni telefoniche, le ricostruzioni di investigatori e magistrati ma sarebbe una facile scorciatoia perché, appunto, la sua non è semplicemente la storia di un presunto cinquantennale sostegno a Cosa Nostra siciliana, catanese in particolare ma quella di uno degli uomini più potenti e rispettati della Sicilia. Un uomo che è stato presidente della Fieg, la federazione degli editori e vicepresidente dell'Ansa, la principale agenzia giornalistica italiana, socio di De Benedetti nel gruppo Espresso-Repubblica e in affari con alcuni mafiosi palermitani soci di una tv del capoluogo siciliano; un uomo che ha ospitato nella propria villa personaggi come il principe Carlo d'Inghilterra e la sua prima consorte Diana, o Raissa Gorbaciova, moglie dell'ultimo presidente dell'Urss, l'uomo della perestrojka, o Pippo Baudo, un pezzo di storia della tv pubblica italiana. Ma anche sindaci, deputati e senatori, ministri della Repubblica, presidenti della Regione. L'uomo che, con altrettanta disponibilità, accoglieva in redazione un noto boss mafioso catanese che non accettava di essere definito «mafioso» in un articolo pubblicato sul quotidiano di cui Ciancio è stato editore e direttore dal 1967 fino a un anno fa, La Sicilia: il più diffuso quotidiano dell’isola e il primo, nella storia d’Italia, ad essere stato confiscato dallo Stato. Oltre ad accogliere il boss Ercolano, secondo i magistrati, Ciancio avrebbe convocato il giornalista autore dell’articolo poc’anzi citato e gli avrebbe intimato di non definirlo più mafioso, secondo quanto ha ricostruito la Commissione Antimafia, nella scorsa legislatura, nella Relazione sullo stato dell’informazione e sulla condizione dei giornalisti minacciati dalle mafie.
Ciancio è stato per decenni anche azionista di minoranza degli altri due quotidiani siciliani, Il Giornale di Sicilia (Palermo) e La Gazzetta del Sud (Messina e Calabria), nonché socio di maggioranza della Gazzetta del Mezzogiorno (Puglia), anch’essa acquisita ai beni dello Stato, nonché proprietario di tre televisioni regionali e della principale tipografia siciliana, dove si stampano tutte le edizioni teletrasmesse dei grandi quotidiani nazionali. «Negli ultimi trent’anni – ha ricostruito la Commissione Parlamentare Antimafia durante la scorsa legislatura, in un capitolo dal titolo eloquente: Mario Ciancio e il sistema di potere mafioso a Catania – è stato capace di costruire un perimetro di interessi imprenditoriali che ben presto sono tracimati fuori dall’informazione per estendersi a molti altri settori: dall’edilizia pubblica e privata all’agricoltura, dal mercato pubblicitario ai servizi turistici». ... [continua]
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