Le più recenti e più grandi operazioni di Polizia contro le infiltrazioni
dei clan in Veneto, Emilia-Romagna e Friuli-Venezia Giulia
Il Nordest si conferma territorio attrattivo per le mafie che, specie nel Triveneto, cercano di infiltrarsi scegliendo la strategia della sommersione. Con il riciclaggio dei guadagni illeciti le organizzazioni criminali inquinano l’economia legale: concedono prestiti (a strozzo) a piccoli imprenditori con aziende in crisi, comprano le ditte senza apparire, e investono in vari settori, dal turismo all’edilizia fino al gioco d’azzardo, senza tralasciare il traffico di droga. Mentre in Veneto operano, perlopiù, figure che fungono da riferimento e supporto per le mafie (l’ultima Operazione anticamorra At least, però, fotografa un peggioramento del fenomeno), l’Emilia-Romagna è la regione del Nordest che, da tempo, presenta aspetti di maggiore radicamento delle cosche, come ha dimostrato anche l’Operazione Aemilia. E un campanello d’allarme suona anche per il Friuli-Venezia Giulia, se si guarda in particolare all’Operazione Piano B dello scorso dicembre.
Il Veneto è stato la culla della Mala del Brenta, la banda fondata da Felice Maniero ovvero la mafia (autoctona) veneta che spadroneggiò in questo territorio dagli anni Settanta agli anni Novanta, con rapine, estorsioni e traffici di droga, e che concluse patti anche con Cosa Nostra. Negli ultimi anni, sono affiorati di nuovo sulla scena delinquenziale del traffico di stupefacenti alcuni personaggi collegati all’ex Mala del Brenta, che rappresenterebbero un “gancio” con la criminalità straniera. Un’ex affiliato alla mafia del Brenta, Claudio D’Este, 72 anni, nel dicembre 2018 è stato arrestato a Zagabria, in Croazia, dov’era latitante: deve scontare una pena di oltre 10 anni per spaccio di stupefacenti. Nel 2015 è diventata definitiva in Cassazione una sentenza storica, scaturita dall’Operazione Serpe del 2010: la condanna in Veneto, per associazione a delinquere di stampo mafioso, usura ed estorsione, di un gruppo malavitoso capeggiato da un campano (coinvolti anche insospettabili professionisti veneti). Nel febbraio 2017, viene portata a termine l’Operazione Valpolicella, nella quale il reato di usura, insieme ad altri crimini, torna al centro dell’attenzione: 36 indagati per associazione di stampo mafioso, usura, estorsione, rapina e frode fiscale. Tre gli arrestati dalla Dia di Padova. Con questa indagine, organizzata dalla Dda veneta, si è voluto controllare le infiltrazioni mafiose di origine calabrese in Valpolicella, tra le province di Verona e Vicenza: fra le persone vagliate, anche un pregiudicato vicino ad affiliati alle cosche crotonesi Grande Aracri e Dragone e soggetti legati alla ‘ndrangheta, attivi nell’edilizia. In precedenza, nell’ambito del traffico di stupefacenti e nel ramo della ristorazione e dell’edilizia, erano state riscontrate presenze ‘ndranghetiste nell’ovest veronese, nel padovano e nel basso vicentino collegabili ai clan calabresi di Africo Nuovo, Delianuova, Filadelfia, Strongoli (‘ndrina Giglio) e Cutro (‘ndrina Grande Aracri). La presenza di queste formazioni è emersa con alcuni arresti in Veneto attinenti all’Operazione Aemilia della Dda di Bologna. Vi sono anche interessi della ‘ndrina Arena di Isola Capo Rizzuto, impegnata ad investire nelle scommesse on-line. Negli ultimi tempi, vari tentativi di infiltrazione della ‘ndrangheta, inoltre, sono stati bloccati attraverso provvedimenti “interdittivi”. «La mafia è arrivata anche qui perché qui c’è ricchezza», ha dichiarato Salvatore Mulas che per oltre tre anni e mezzo (da giugno 2015 a febbraio 2019) è stato prefetto di Verona, incarico con il quale ha emesso ben 17 interdittive antimafia contro imprese colluse. ... [continua]
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