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Marzo/2019 - Editoriale
direttore@poliziaedemocrazia.it
A volte l'abito non fa il monaco
di Francesco Neri

Diciamo subito, per evitare di essere additati come bacchettoni, che naturalmente ognuno - come privato cittadino - può vestirsi come vuole e indossare ciò che desidera. Ma se occupi un ruolo pubblico, se hai un incarico di governo, se addirittura sei un ministro della Repubblica, indossare una divisa di una forza dell’Ordine con tanto di mostrine non è un gesto neutro. E’ un atto grave che pretende di affermare con arroganza un principio preciso e lanciare con sfrontatezza ai cittadini che ti osservano un messaggio chiaro: io sono la Polizia, io sono i Carabinieri. Io sono quello che garantisce la sicurezza di tutti voi. La divisa però, ci permettiamo di osservare, non è di chi la indossa. E non può essere indossata da un uomo politico durante un comizio o durante un’ iniziativa di una parte politica. Perché le divise sono di tutti i cittadini, in quanto le forze dell’Ordine sono di tutti i cittadini e hanno l’obbligo di garantire la sicurezza di tutti i cittadini e non solo di una parte di essi.
Per riaffermare la sicurezza di una comunità, di una città e di un territorio non è necessario indossare un giaccone della Polizia a favore di telecamera come impongono le regole della comunicazione mediatica se vuoi fare colpo sui telespettatori - destando in questo modo clamore nell’opinione pubblica e cercandone il consenso - ma è sufficiente, per esempio, organizzare, lontano dall’occhio indiscreto di una telecamera, un serio e articolato piano di contrasto alle mafie che in questi anni al nord, dopo essersi infiltrate, si sono radicate: ’ndranghera in particolare, secondo i periodici dossier presentati da tutti gli organismi preposti al monitoraggio di questo fenomeno, tra cui l’ultimo, quello della DIA. Basti pensare ad alcune importanti operazioni contro la criminalità organizzata al nord: l’operazione Valpolocella, l’operazione Terry, Picciotteria2, Ciclope, Serpe, Fiore reciso, Dragone. Senza dimenticare il maxi processo Aemilia.
Ha scritto Roberto Saviano: “…Presiedere comizi con la maglietta della Polizia significa appropriarsi di una istituzione, del suo simbolo, significa abusarne e renderla di parte… la Lega non è stata in grado di arginare la diffusione del potere ’ndranghetista nel nord Italia…”
Sulla polemica è intervenuto anche Daniele Tissone, segretario generale del sindacato di polizia Silp Cgil che non ha mai nascosto il suo disappunto sull’uso delle maglie della Polizia fatto dall’attuale ministro dell’interno: “Dalla prima apparizione del ministro in divisa nel 2016 la nostra posizione è sempre stata chiara a riguardo. Credo però che oggi sia importante dire che i poliziotti misurano il ministro dell’Interno non solo dalle cose che indossa ma anche da ciò che fa. E, in questo caso, direi soprattutto da cosa non ha fatto ancora, perché al netto delle promesse della campagna elettorale, non ha immesso le risorse necessarie per un rinnovo contrattuale oggi scaduto. Stessa cosa dicasi per nuove assunzioni finora solamente promesse…”
Il capo della Polizia Franco Gabrielli ha giustificato la frequente abitudine del ministro dell'Interno Matteo Salvini di indossare la divisa. "Di questo - ha detto Gabrielli - ne abbiamo parlato spesso con il ministro. Lo fa come un gesto di attenzione, come un voler sentirsi parte dell'istituzione che, fino a prova contraria, finché non sarà sfiduciato, rappresenta a tutti gli effetti".
Altra cosa, poi, è il buongusto e la sobrietà. Caratteristiche che, forse, sarebbe legittimo aspettarsi da un ministro dell’Interno e vicepresidente del Consiglio. Sarebbero un segno di rispetto verso l’istituzione che si ha l’onore e l’onere di rappresentare. Ma in questo caso, forse, è da ingenui aspettarsi buon gusto e sobrietà da chi urla con protervia frasi sguaiate e volgari come “la pacchia è finita” o “me ne frego...” perché buon gusto e sobrietà sono come il coraggio di don Abbondio: se uno non ce l’ha non se lo può dare.

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