Ispirato al delitto del Canaro
della Magliana Dogman, l’ultimo
film di Matteo Garrone
Nero. Poi le fauci di un cane enorme e furioso squarciano lo schermo. Pochi secondi e l’inquadratura si allarga sulla fragile figura di un uomo che cerca di ammansirlo; è minuscolo e la sua voce è dolce e quasi femminea. Ma sembra avere un potere magico e consolatorio sul molosso incatenato.
Comincia così Dogman di Matteo Garrone, un incipit quanto mai allegorico e anticipatorio di quella che è la sinossi del film; un moderno Davide contro Golia, un contrasto continuo tra rabbia e repressione dei sentimenti, alla ricerca di una ragione di vita che non sia solo sopravvivenza a se stessi.
Siamo al confine tra il Lazio e la Campania, un paesaggio di frontiera apocalittico e fuori dal tempo (location in parte usata anche per Gomorra e L’imbalsamatore, sempre di Garrone). L'atmosfera è brutalmente spoglia, trasuda solitudine e desolazione. La fotografia di Nicolaj Bruel estremizza una tavolozza cromatica impostata su colori freddi e lividi. La periferia, le strade sporche, gli ambienti catturati dalla macchina da presa potrebbero rappresentare gli anni 50-60, come anche quelli di un futuro distopico. E invece il tempo della storia è tristemente radicato ai giorni nostri. Un non-luogo al limite del surreale, insomma, dove le diverse vite di Marcello e Simoncino si incontrano e si intrecciano. Il primo ama il proprio lavoro di toelettatore e la figlioletta Alida ma ha una pericolosa attrazione per la criminalità, che alimenta con una piccola piazza di spaccio; il secondo è un energumeno che terrorizza a suon di testate e cazzotti tutto il quartiere. Nei suoi confronti Marcello ha un rapporto di totale dipendenza, non riesce a dirgli mai di no. Ma, dopo l’ennesimo torto subìto, decide che è il momento di reagire.
... [continua]
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