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Gennaio-Febbraio/2019 - Interviste
Sicurezza
Diminuiscono i reati, aumenta la paura
di a cura di Michele Turazza

Nonostante le società occidentali contemporanee siano le più sicure
al mondo, le comunità sembrano assillate da timori
di contaminazioni e di invasioni

Nonostante i reati siano in calo, la paura aumenta. E la politica, in tempi di globalizzazione e di migrazioni, si nutre proprio delle paure e dei timori della gente. Le politiche della sicurezza, anziché risalire alle cause di insicurezza e precarietà, cercando di agire su queste in via preventiva, sono sempre più ridotte a slogan urlati, e assimilate a ordine e “tolleranza zero”, abbracciando un approccio esclusivamente penal-repressivo. Ma i rapporti tra le variabili in gioco sono complessi e ogni indebita semplificazione rischia di innescare una pericolosa securitizzazione della vita quotidiana, snaturando il ruolo degli stessi operatori di Polizia.
Polizia e Democrazia ha incontrato e intervistato il prof. Roberto Cornelli – uno dei massimi esperti italiani sulla relazione tra paura, ordine e politiche di sicurezza urbana – che ha presentato al Congresso Silp-Cgil, tenutosi a Rimini il 9 e il 10 gennaio, i primi risultati di una importante ricerca sulla percezione da parte dei poliziotti rispetto al proprio lavoro, ai problemi sociali e all’immigrazione.

Prof. Cornelli, se si chiedesse a un cittadino qualunque di indicare tre parole o espressioni chiave da cui partire per l’analisi delle politiche della sicurezza negli ultimi trent’anni, probabilmente risponderebbe: “meno immigrazione”, “tolleranza zero” e “aumento e certezza delle pene”. Tralasciando per il momento la prima, su cui torneremo, le altre sono indicative di una concezione della sicurezza sbilanciata sul campo del diritto penale, ossia della mera repressione. A cosa conduce siffatta visione?

Partirei da un dato. Nonostante le società occidentali contemporanee siano le più sicure della storia dell’umanità e tra le più sicure al mondo (i dati di ricerca sono sempre più convergenti, tra l’altro, nel descrivere il declino della violenza letale, certamente nella nostra parte di mondo), le comunità sembrano assillate in modo ricorrente da timori di contaminazioni e di invasioni e ricercano continuamente la propria immunizzazione e difesa.
Tolleranza zero significa innanzitutto eliminare, con lo strumento della repressione, dalla vita sociale ogni rischio legato al contatto con altri. Viviamo in un tempo in cui le paure – quelle legate a un benessere sempre più fragile, a istituzioni in crisi di autorevolezza, a confini (non solo fisici ma anche psicologici, culturali e normativi) sempre meno capaci di definire e proteggere, a equilibri che vanno ridefinendosi velocemente portando alla luce vuoti e diseguaglianze sempre più profonde – sono ancorate nel discorso pubblico a una cultura politica rancorosa, basata cioè sull’individuazione di un nemico da odiare e sulla sua neutralizzazione.
È facile comprendere che viene meno, ogni giorno di più, ciò che un filosofo come Locke indicava come collante sociale (vinculum societatis), capace cioè di tenere insieme le persone che vivono nello stesso spazio sociale: la fiducia. Una visione politica che innesta continuamente nelle mentalità e nelle relazioni diffidenza, paura e odio distrugge giorno dopo giorno ciò che di più prezioso la fiducia porta con sé, la capacità di convivenza.

Più nello specifico: cosa si intende per “tolleranza zero”?

Per capire cosa sia la tolleranza zero occorre richiamare la ben nota teoria della finestra rotta per come è stata fatta propria dal sindaco di New York degli anni Novanta, Rudolph Giuliani. Due criminologi, Wilson e Kelling, in un articolo del 1982, attraverso alcuni esempi accattivanti, sostennero l’esistenza di un continuum tra forme di degrado urbano ed episodi di criminalità. Non si trattava di una teoria, perché priva di dati a supporto. ... [continua]

LEGGI L'INTERVISTA COMPLETA:
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