Il 14 settembre scorso è comparsa una lunga intervista al Questore
di Reggio Emilia che dichiarava, in merito alla vicenda
di Federico Aldrovandi: “questo ragazzo, se ci fosse stato il taser,
sarebbe ancora vivo. Per fermare un giovane alto 1 metro e 90
agitatissimo hanno dovuto usare anche i manganelli”. Dei quali due
si ruppero durante il pestaggio. Dopo la sua morte furono condannati
quattro poliziotti. Il 21 giugno 2012 la Corte di Cassazione rese definitiva
la condanna a 3 anni e 6 mesi di reclusione per "eccesso colposo nell'uso
legittimo delle armi" a Paolo Forlani, Monica Segatto, Enzo Pontani
e Luca Pollastri che, tuttavia, beneficiarono dell’indulto.
Riceviamo e volentieri pubblichiamo la lettera di Orlando Botti,
ex ispettore della Polizia di Stato, in risposta all’intervista
del questore Sbordone
Sono l’ex ispettore capo della Polizia di Stato Orlando Botti, ex carbonaro del Movimento di democratizzazione degli anni ’70, poi diventato sindacato, ed ex segretario provinciale del Siulp di Imperia. Ho rischiato la galera in quel periodo per dare al Paese una Polizia veramente aperta e democratica.
Intendo intervenire in merito all’intervista rilasciata al Resto del Carlino il 14 settembre scorso dall’attuale questore di Reggio Emilia, Antonio Sbordone, già questore di Ferrara, in merito al caso Aldrovandi e all’uso del taser, la pistola che consente di immobilizzare le persone con una scarica elettrica.
Lei, signor questore, può certamente intervenire sull’uso del taser ma non può affermare cose inesatte sulla morte di Federico Aldrovandi.
Lei sbaglia la sua altezza: non era alto un metro e novanta, Federico, come lei ha scritto, ma un metro e settantacinque e pesava sessanta chili.
Lei suscita risentimento nei suoi genitori, offendendoli con tali parole che riaprono ferite mai completamente suturate.
In trent’anni di onorata carriera non ho mai notato la rottura di due manganelli durante il servizio, cosa accaduta invece nella vicenda Adrovandi. Non intendo soffermarmi dettagliatamente sulla sentenza della magistratura che ha condannato, per eccesso colposo nell’uso legittimo delle armi, i quattro agenti responsabili della morte di Federico Aldrovandi. Sarebbe stato importante, tuttavia, che Lei l’avesse letta prima di affermare parole diverse e offensive nei riguardi della famiglia Adrovandi.
L’ex capo della Polizia Manganelli, chiedendo con ritardo scusa alla famiglia, ha detto che la sua morte era dovuta a violenza, come sostengono le sentenze passate in giudicato.
Federico è morto perché è stato picchiato per alcuni minuti, perché ha subìto cinquantadue lesioni con distacco dello scroto. Federico non stava compiendo alcun reato e non si trovava in stato di detenzione.
Dopo più di dieci anni da quella vicenda Lei con ciò che ha detto offende la morte di Federico, non essendo Lei riuscito a trovare poche parole nobili nei confronti del ragazzo morto e dei suoi genitori.
Dispiace osservare, da cittadino, che un questore della Repubblica, crei tale occasione di scontro dopo un fatto per il quale è stata acclarata pienamente la responsabilità degli agenti operanti ma ancora di più colpisce che un questore riferisca dinamiche mai avvenute.
Sono onorato di essere diventato amico fraterno di Lino Adrovandi, padre di Federico, che mi ha accompagnato sulla sua tomba dove ho posato una rosa rossa. Per questo ogni volta che si riassumono tesi inesatte sento l’obbligo di intervenire, specialmente se quelle tesi le sostengono miei ex superiori.
In una Polizia rinnovata, con la legge di riforma n. 12/81, non ci dovrebbe essere posto per tali agenti e neppure per funzionari colpevoli di reati commessi durante il G8 i quali, invece, sono rientrati in servizio dopo la loro condanna e promossi a ruoli apicali.
Le suggerisco, pertanto, di comprare e leggere il libro dell’avvocato Fabio Anselmo, intitolato Federico, così potrà approfondire e capire i suoi errori di valutazione e le sue inesattezze.
Sperando in un suo chiarimento, la saluto.
In fede
Orlando Botti, ex ispettore della Polizia di Stato
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