La democrazia vive di politica:
Pericle diceva che produce
la felicità
L’aveva detto Platone (Menesseno, 387 a.C.). Forse è vero che si tratta di un’affermazione da accostare a quella di Churchill che definì la democrazia “la peggior forma di governo eccetto tutte quelle sperimentate finora”. Ma Platone per natura viveva teorizzando e, quando presumeva di fare politica, tendenzialmente procurava guai anche a sé stesso: le situazioni del suo tempo erano drammatiche e gradatamente portarono all’irrilevanza la democrazia come sentire comune (succede ma era la prima volta).
La costituzione originaria e le riforme storiche che garantivano la libertà, la giustizia, perfino l’uguaglianza (anche se schiavi e donne non votavano, come gli stranieri) ad Atene sono sempre “i valori” a cui appellarsi nelle celebrazioni: tutto tiene finché il governo può erogare il benessere contenuto nei principi e i cittadini eleggono “i migliori”, allora per censo, oggi per antiche ideologie o per caso: importante che qualcuno paghi gli investimenti pubblici e il welfare (Pericle corrisponde uno stipendio ai politici per il loro lavoro). Tuttavia, quando i commerci crebbero oltre misura perché tante città importavano ed esportavano beni e ci guadagnavano le compagnie di assicurazione, l’egemonia era a rischio: si poteva fare un’unione federale, come era stato possibile per affrontare insieme l’attacco persiano? non lo si volle perché Atene era the first.
Competere con l’altra grande potenza era, appunto, la sfida. Sparta aveva un’altra Costituzione, altri valori, primo di tutti l’uguaglianza (isonomìa) che di per sé comprendeva la giustizia e non aveva bisogno della libertà; un’ideologia che si proponeva a modello non consumista come, invece, erano gli ateniesi, attenti solo al bello, anche se l’uguaglianza era riservata ai potenti, agli “uguali” discendenti delle antiche famiglie doriche, i guerrieri. Proprio vero che le Costituzioni non sono di per sé la democrazia. ... [continua]
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