Il voto referendario del Cantone svizzero di San Gallo è solo
l'ultimo esempio di legislazioni tese a preservare la sicurezza
dei cittadini e a ricordare una regola di buon senso:
in una società civile il riconoscimento del viso
dei cittadini facilita la comunicazione attraverso
il linguaggio non verbale del volto
Col 67% dei voti favorevoli a settembre il cantone di San Gallo, ha approvato un bando totale relativo al burqa e al niqab negli spazi pubblici.
La questione, sottoposta al voto referendario come usanza nella repubblica elvetica, pone la parola fine a una lunga diatriba politica a livello cantonale.
Un testo che stabiliva che “ogni persona che si rende irriconoscibile coprendo il volto nello spazio pubblico e di conseguenza pone a rischio la sicurezza o la pace sociale e religiosa sarà multata” era stata approvata dal governo cantonale lo scorso anno ma i verdi e la sezione giovanile del partito socialista avevano impugnato la questione invocando un referendum il cui esito ha, appunto, confermato la volontà espressa dagli eletti.
Si tratta d’altronde del secondo referendum cantonale il cui esito ha, di fatto, bandito il burqa e il niqab.
Nel luglio del 2016 era stata la volta del Ticino a rendere attuativa una legge cantonale che va nella stessa direzione di quella di San Gallo. Multa a chi dissimula il proprio viso. Sempre a seguito di referendum popolare che ha avuto il sostegno, in Ticino, del 65% dei votanti.
La questione, malgrado il Parlamento federale recalcitrante che si è rifiutato di probire il burqa e il niqab nel 2012 e l’opposizione anche del Consiglio degli Stati che, nel 2016, si è rifiutato a estendere a tutto il territorio federale la legge ticinese, continuerà a essere d’attualità.
Infatti il comitato referendario “No alla dissimulazione del viso” ha raccolto oltre 100.000 firme necessarie per sottoporre la questione alla volontà popolare il prossimo anno. E, se a livello politico sono principalmente i partiti di estrema destra e di destra a sostenere tali iniziative il ripetuto successo referendario mostra una base di consensi così ampia sull’argomento da andare ben oltre gli elettori di riferimento della destra.
I voti cantonali nella Svizzera sono solo l’ultima in ordine cronologico di una serie di legislazioni attuate per contrastare e limitare una delle espressioni più visibili dell’estremismo islamico. Perché se le leggi mettono al bando e multano chi copre il volto, includendo così maschere, caschi e passamontagna, è verso il burqa e il niqab che la volontà del legislatore appare diretta.
I primi Paesi a proibire il burqa sono stati, nel 2011, la Francia, seguita a sua volta dal Belgio. Due nazioni che fanno della laicità una bandiera eppure nelle quali vari gruppi islamisti, in particolare di matrice wahabita-salafista, continuano lentamente ma costantemente, a fare proseliti tra i giovani di origine araba, massicciamente presenti in molti quartieri e zone di provincia di diverse città delle due nazioni.
Non è stato tanto un desiderio di imporre la laicità per le strade quanto una motivazione legata alla sicurezza. Ormai innumerevoli sono stati gli attentati ma anche vari atti criminali pur non di spettacolare ampiezza e gli attentati sventati, tutti di matrice religiosa islamica che si sono registrati nelle due nazioni europee, le prime a mettere al bando burqa e niqab.
Il dibattito legato alla possibile proibizione del burqa vede, generalmente, su fronti contrapposti, rappresentanti di schieramenti politici.
I progressisti, in nome della libertà di abbigliamento e di coscienza, si oppongono a bandi e proibizioni pur, in alcuni casi, esprimendo dispiacere che delle donne islamiche scelgano tale tipologia di indumento. Dal lato opposto i conservatori, come la senatrice australiana Pauline Hanson, presentatisi, nell’agosto del 2017, con indosso il burqa, per protestare contro la mancanza di volontà politica sull’argomento. Nel Regno Unito, patria del politically correct, è persino rischioso per un politico pronunciare parole di condanno contro il niqab e il burqa. Boris Johnson, ex-sindaco di Londra, sostenitore della Brexit e oppositore dell’attuale primo ministro Theresa May, è stato condannato aspramente da tutti gli schieramenti politici per aver osato pronunciare parole di scherno nei confronti delle donne che indossano il velo integrale paragonandole a ladri di banche o buche delle lettere. Il partito conservatore è arrivato persino a chiedere che Johnson subisca un’investigazione interna al partito per possibile violazione di regole di condotta. ... [continua]
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