L’impatto dei fenomeni ambientali sulle migrazioni è fortemente sottovalutato. Un terzo del continente africano rischia la desertificazione. Nel prossimo decennio 50 milioni di persone dovranno migrare per avere accesso al cibo e sopravvivere.
Nel villaggio di Gourga, nel nord del Burkina Faso, non lontano dal confine col Mali, vive Yacouba, un contadino vicino agli 80 anni, che da più di cinquanta coltiva la terra, ma il cui merito è quello di aver fermato la desertificazione di quella area geografica, minacciata gravemente dai cambiamenti climatici e dal conseguente abbandono dei villaggi. Il Burkina Faso si trova nell’area del Sahel (dall’arabo, bordo del deserto), una fascia di territorio dell’Africa sub-sahariana che si estende dal deserto del Sahara a nord e la savana del Sudan a sud, tra l’Atlantico a ovest e il Mar Rosso a est. E’ la zona di transizione tra l’area arida del Sahara e la foresta umida dell’Africa tropicale, dove la popolazione si dedica tradizionalmente all’agricoltura e alla pastorizia, alternando le colture tra il periodo secco e quello umido.
Yacouba nasce in questi luoghi, ma passa l’infanzia in una scuola coranica in Mali, coltivando i campi e tentando di apprendere il Corano, cosa che si rivela per lui impossibile, nonostante gli anni di permanenza ininterrotta. Ma quando è pronto a rientrare in famiglia, preoccupato per non aver ottenuto risultati, lo Cheikh della scuola gli dice di non rammaricarsi e gli rivela che ha visto in lui un futuro da leader, “sarai capo di uomini”. Lui non crede a questa visione e torna in Burkina Faso, dove per qualche anno gestisce con successo una bottega nel mercato in città. Ma intuisce che quella fortuna non durerà e torna al villaggio dove vede rapidamente spopolarsi case e terre, chi può raccoglie i propri averi e abbandona le terre oramai aride e improduttive.
“Migliaia di persone morivano di fame, gli altri scappavano. Pensai: se vado via anch’io, non resterà più nulla. Mi tornò in mente una tecnica di coltivazione della tradizione antica, che avevo appreso in Mali”. E’ lo zai, “fossa” nella lingua locale, che prevede che all’inizio della stagione umida si pratichino dei buchi nel terreno con la zappa per trattenere l’acqua piovana. Yacouba modifica questa tecnica, la prepara già nella stagione secca, ingrandisce le dimensioni delle fosse in larghezza e profondità, le riempie con un compost fatto di foglie e letame, dove aggiunge i semi del miglio, del sorgo, del sesamo, ma soprattutto si allea con le termiti. “Il letame attira le termiti, anziché combatterle, le incoraggiai, pensavo che i loro cunicoli avrebbero trattenuto l’acqua nella stagione delle piogge, e io non avrei avuto bisogno di irrigare. Così fu, dopo ho scoperto che le termiti, digerendo il letame, hanno anche mineralizzato il suolo”. Yacouba non smette mai di osservare, sperimentare ed accumulare esperienze. Introduce ulteriori innovazioni: contorna le aree coltivate di muretti bassissimi fatti di pietre che rallentano la velocità dell’acqua piovana permettendo alla terra di assorbire gradualmente l’umidità senza essere inondata e inserisce nelle fosse anche semi di alberi. Gli alberi fanno ombra sulle coltivazioni, frenano l’harmattan, il vento del deserto e le foglie servono da concime.
Yacouba ha dato nuova vita alla terra, anche se ostacolato nelle fasi iniziali delle sue sperimentazioni, i risultati ottenuti hanno convinto anche i più diffidenti. Il suo villaggio si è ripopolato e gradualmente tutta l’area. Oggi una foresta di 27 ettari con oltre 10 mila alberi è meta di pellegrinaggio di studiosi di tutto il mondo e di coltivatori provenienti dai Paesi vicini, come il Mali e il Niger, dove con la sua tecnica si sono scongiurate nuove carestie. Molti coltivatori gli hanno affidato specie vegetali in estinzione, affinché potesse riprodurle e salvarle.
Un giovane regista inglese, Mark Dodd, ha realizzato un film sulla storia di Yacouba, “The man who stopped the desert” (2010, 1080Films) che ha ricevuto riconoscimenti e apprezzamento dal pubblico ed ha ripercorso la vita del contadino innovatore, dall’infanzia alla visita negli Stati Uniti, promossa da Oxfam America sotto l’amministrazione Obama.
Nel 2018 è tra i vincitori del Premio Nobel Alternativo, istituito in Svezia dalla Right Livelihood Award Foundation per rendere omaggio a “persone coraggiose che trovano soluzioni ai problemi globali”.
“Il cibo è indispensabile per l’umanità, se assicuriamo il suo approvvigionamento, allora ci svilupperemo, ma senza abbastanza cibo, non potremo farlo. Dobbiamo risolvere questo problema prima di tutto”. Yacouba, che non ha mai imparato il Corano, né a leggere e a scrivere, ma che è diventato leader di uomini.
|