Il film su Cucchi e la violenza di una verità imposta
Gentile Direttore,
le scrivo perché è impossibile contenere lo sdegno per l’ennesima storia di ‘ordinaria criminalizzazione’ di chi veste una divisa e, per questo semplice e solo fatto, secondo alcuni deve necessariamente portare in sé il gene del torturatore.
Nientemeno che nella prima giornata della 75/a Mostra Internazionale del Cinema di Venezia ha debuttato il film “Sulla mia pelle”, che racconta la morte di Stefano Cucchi, e torna a guadagnarsi prepotentemente la ribalta il consueto processo mediatico senza appello che vuole gli Appartenenti alle Forze dell’Ordine colpevoli ad ogni costo, quasi che fosse questo l’atteso “lieto fine” e non invece la consapevolezza che chi porta la divisa agisce con coscienza e professionalità. Torna la violenza di una verità che qualcuno vuole imporre, perché è buona per fare audience - o comunque per avere una sostanziosa dose di finanziamenti - oggi, come era perfetta per fare i titoli delle prime pagine ieri.
Eppure, a fronte di un processo ancora aperto e rispetto al quale non si può proferire parola in attesa di una sentenza, gli unici procedimenti giudiziari relativi al caso Cucchi già celebrati e giunti a conclusione, quelli sì nelle aule e non davanti a microfoni e telecamere, fin qui hanno parlato solo di assoluzioni o archiviazioni. Ma non abbiamo assistito ad alcuna soddisfatta presa d’atto perché il nostro apparato sicurezza da quelle sentenze esce più sano e più forte. No. Per alcuni, al di là del rispettabilissimo dolore del lutto, serve un colpevole ad ogni costo, e quel colpevole deve portare la divisa. E allora giù, con strumentalizzazioni e speculazioni, portate avanti in nome di una presunta verità che da alcuni è ritenuta tale solo se coincide con la sete di affermazione delle proprie convinzioni e delle proprie posizioni. Strumentalizzazioni e speculazioni che hanno il terribile sapore della sconfitta di tutto e di tutti, e che fanno sembrare ancor più appropriato il titolo scelto per questo lungometraggio… “Sulla mia pelle”. Sì, perché sulla pelle di Cucchi tanti hanno parlato, troppi hanno speculato, alcuni hanno ampliato il proprio carnet di comparsate mediatiche e qualcuno ha avviato carriere politiche. Sulla pelle sua e, inscindibilmente, sulla pelle dei colleghi che da anni vivono il tormento della gogna senza ritorno che certa classe politica, che vanta i migliori campioni di linciaggio radical chic, sa mettere in piedi.
Una gogna che lascia segni indelebili e profondissimi, di cui però nessuno sventola gigantografie in piazza. Di cui nessuno, in verità, parla neppure. Lividi e fratture e piaghe e cicatrici che tanti Appartenenti alle Forze di Polizia portano “sulla loro pelle”, nel caso Cucchi e nei tanti, tanti altri, iniziati nel clamore dei media e finiti in un puntuale nulla di fatto nel silenzio di opinionisti indignati e anche di giornalisti distratti, come bolle di sapone che scoppiano senza fare alcun rumore.
Dal caso Uva via via fino a Cucchi, passando per tutti quei numerosi procedimenti iniziati a carico di Appartenenti alle Forze di Polizia per i più disparati motivi e conclusisi con assoluzioni ed archiviazioni giunte sempre troppo tardi, non leggiamo best seller, non vediamo film da Oscar e non ascoltiamo tribune politiche dal Parlamento. Delle torture subite da chi rappresenta le Forze dell’Ordine nessuno parla. Non fa notizia. Non fa scalpore. Non indigna.
Ma noi siamo qui, rappresentiamo quelle migliaia di donne e uomini che portando la divisa portano, allo stesso tempo, il peso di facili accuse, di frettolose sentenze di piazza e di sciagurate ed irresponsabili prese di posizione politiche. Rappresentiamo anche e soprattutto quelli che a mala pena hanno i mezziper difendersi da chi punta contro di loro il dito e ci rimettono carriere, famiglie, vite. Per loro e per tutti noi aspettiamo con ansia di vedere aprire un’edizione del Festival di Venezia con un film reale, basato su dati concreti, con contenuti drammatici e sferzanti che la tempesta che tanti Operatori della sicurezza devono affrontare. Un film dal titolo “Sulla loro pelle…”
Franco Maccari Vice Presidente Nazionale SP -Polizia di Stato
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La Polizia del comandante Gabrielli è altra cosa
Sono profondamente commossa.
Provata. Guardo il cielo sperando di poter incontrare il tuo sguardo.
Non vedo nulla. Solo le luci accese della sala Darsena dove è appena terminato il film sulla tua morte. Sento gli applausi della gente. Prendo l'abbraccio di Alessandro e Jasmine e poi anche quello di Max. Le 1500 persone che stipano il cinema si stringono tutte intorno, quasi tutte in lacrime.
Questa è la gente intorno a noi.
Qualcuno ha detto che dopo un fermo ci può scappare qualche schiaffo, qualche pugno.
E se poi il fermato cade e si fa male pazienza. Niente legge contro la tortura perché lega le mani alla Polizia.
Ma la Polizia non sente il bisogno di avere quelle mani libere che sarebbero sporche di sangue. Forse magari il sindacato di Tonelli la pensa diversamente ma la Polizia del comandante Gabrielli è altra cosa.
Ste’ ti sei preso qualche schiaffone. Qualche pugno. Qualche calcio. Sei caduto e ti sei fatto male. Molto male. Ma ce ne dobbiamo fare una ragione io te mamma e papà.
In fin dei conti questo qualcuno è ora il ministro dell'Interno. Ora, ironia della sorte, sta facendo passerella e cene di gala a Venezia.
Voglio incontrare questo famoso ministro Salvini. Pubblicamente. Guardarlo negli occhi.
Senza dire nulla. Fargli abbassare quello sguardo freddo e inespressivo.
A Ste’, questo non avrà mai il coraggio. E poi lui si che fa parte della casta.
Non abbiamo giustamente preso un euro da questo film ma la soddisfazione è tanta.
Tu sei un atto d'accusa vivente, sì, vivente, contro quel modo di pensare ignorante e violento. Tu che di violenza sei morto.
Ti abbraccio forte forte. Come hanno abbracciato me.
Notte
(dal profilo Facebook di Ilaria Cucchi)
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