In questa seconda puntata
dell’inchiesta sul potere sempre più
ampio che stiamo assegnando
ai computer emerge il pericolo
di un conflitto che si può
combattere con attacchi mirati
a depuratori, trasporti,
distributori di energia
«Le cose peggiori sono sempre state fatte con le migliori intenzioni». Questa frase di Oscar Wilde sembra descrivere perfettamente la nostra condizione. Non molti se ne accorgono ma ogni giorno si combattono decine di battaglie su più fronti e senza esclusione di colpi. Guerre commerciali, diplomatiche ma soprattutto informatiche. Ovviamente le battaglie sono tenute nascoste, minimizzate dalle dichiarazioni e dai sorrisi di circostanza ma ci sono. Chiedetevi perché già dal 2012 gli operatori telefonici statunitensi non possono usare apparecchiature prodotte in Cina. Il portavoce del Pentagono, Dave Eastburn, ha reso noto che il personale delle basi militari statunitensi non potrà più acquistare cellulari e dispositivi elettronici fabbricati dalle aziende cinesi Huawei e ZTE. Il Pentagono li considera un rischio «inaccettabile» per la sicurezza. C’è la paura, ma forse sarebbe meglio dire il rischio, che il governo cinese possa spiare o monitorare i soldati che utilizzano dispositivi Huawei o ZTE.
Gli oggetti apparentemente innocui si trasformano in armi, account impostati con scarsa attenzione possono facilitare il lavoro di hacker. La tecnologia, abilmente manipolata, può creare non pochi disagi. Un drone può cercare superstiti come uccidere persone se hackerato da terroristi. Un algoritmo di controllo linguistico può rendere le ricerche su Internet più efficaci ma può anche aiutare a scovare i più reconditi segreti, una volta digitati. Magari per chi si vota o per chi si vorrebbe votare. Si possono censurare notizie vere o false, fino ad indirizzare la volontà dell’utente. Basterebbe modificare qualche piccolo parametro di produzione di un singolo componente per mettere in ginocchio un’intera linea produttiva, con ripercussioni economiche ormai planetarie. Le possibilità sono molteplici e tutte hanno una doppia faccia. Proprio come il 5G, la nuova rete che permetterà di far comunicare oggetti in maniera semplice e veloce, permettendo alla tecnologia a portata di palmo di compiere un’ulteriore passo nelle nostre vite. Dai servizi ai cittadini, alla salute, alla mobilità urbana. Non è un caso che il Presidente Trump abbia proposto l’assurda opzione di nazionalizzare il 5G. Ovviamente si sono alzate le trombe dei no, alcuni mosse da buone idee, altre solo da interessi; nazionalizzare la rete infatti significherebbe perdere potenziali ma enormi introiti. L’idea sarebbe nata dopo alcuni report sullo spionaggio cinese ai danni degli smartphone degli americani. Huawei con il suo Mate 10 Pro e i software antivirus forniti agli uffici pubblici da Kaspersky sono due casi emblematici che hanno già fatto storia. Del resto Mike Pompeo, direttore della CIA, lo ha affermato di recente: «il cybercrime cinese è la minaccia da affrontare nei prossimi mesi».
Già nel 2008 la Difesa statunitense subì un cyber attacco proveniente dal Medio Oriente che compromise le reti informatiche, l’operazione che ne seguì, nota come “Buckshot Yankee”, portò alla nascita di un Cyber Command (Uscybercom). Forse dovremmo aspettare cinquant’anni per scoprire chi è stato a sferrare il primo colpo. Gli Stati Uniti o meglio Israele contro l’Iran? Siamo nell’autunno 2010, quando una piccola società bielorussa segnala la presenza di un virus maligno, costruito per paralizzare lo Scada, un sistema computerizzato che gestisce grandi complessi industriali, fabbriche e siti militari. Fatti del genere si susseguono ormai con cadenza semestrale, sarebbe troppo lungo raccontarne. Una cosa però ormai è certa: delle truppe Nato in addestramento si conoscono la maggior parte dei dettagli, tranne il numero di operatori dedicati alla cyber war. Gli algoritmi sono le nuove armi, i malware le bombe di distruzione di massa e gli obiettivi possono essere infiniti. Quando si pensa a una guerra si pensa ad attaccare comunicazioni, basi militari, depositi di armi. Nella cyber war, invece, si può pensare molto più in astratto. Immaginiamo di voler colpire uno Stato nemico, ma senza voler mettere in moto la macchina dei media, sollecitare l’opinione pubblica, trovare i fondi e infine perdere vite umane. ... [continua]
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