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Maggio-Giugno/2018 - Mondo Poliziotto
Legalità
Sicurezza nella libertà
di Felice Romano, Segretario generale Siulp

Intervento del Segretario generale del Siulp alla tavola rotonda
organizzata nel corso del VIII Congresso del sindacato di Polizia

Sicurezza nella libertà. Un binomio inscindibile per noi del Siulp. Perché come diceva Benjamin Franklin “chi è disposto a sacrificare la libertà in cambio della sicurezza non merita né l’una né l’altra cosa”. E' quello che spesso faccio anche io; anche io, quando esercito il mandato conferitomi dai circa ventiseimila poliziotti aderenti al Siulp, ogni sera prima di addormentarmi così come ogni mattina quando mi sveglio mi chiedo sempre: stiamo facendo la cosa giusta?
Me lo chiedo, perché ritengo che in democrazia ogni delega ha senso se ad essa corrisponde la responsabilità.
Giacché è nella responsabilità che il depositario della delega deve trovare il proprio giudice, quello che condanna se essa viene esercitata nell’interesse di pochi, siano essi personali, di gruppo, o di categoria, ma che assolve, quando viene sviluppata nell'interesse di molti, quello dei cittadini, come si conviene in ogni Paese democratico. E il Siulp, sindacato che si richiama ai valori confederali con un rapporto politico strettissimo con la Cisl, continua a ritenere, anche in questa epoca di regressione dei modelli culturali, che solo attraverso la tutela dell'interesse generale si può salvaguardare anche il diritto del singolo.
Il mio pensiero va alla metafora molto cara al ministro Alfano, mi riferisco cioè al gioco di squadra. La "squadra dello Stato"; quella nazionale dentro la quale devono trovare collocazione i singoli segmenti di tutte le articolazioni statuali della nostra Repubblica affinché, in modo sinergico, si possa garantire l'ordine e la sicurezza pubblica, così come lo sviluppo economico.
Quando si parla di Legalità e di Sicurezza, la parola chiave è "innovazione". Dall'ammodernamento degli assetti statuali dipende non solo l'attivià del presente ma soprattutto quella del futuro; dall'innovazione dipende la riuscita della nostra missione, che è quella di garantire prosperità, sicurezza ma anche sviluppo e piena integrazione tra i popoli.
In questi giorni stiamo attuando il riordino del sistema sicurezza e delle carriere del personale che da anni, troppi anni, attendeva questa risposta. Un risultato storico che insieme allo sblocco del tetto salariale e al contratto appena concluso (anche se gà in scadenza al 31 dicembre prossimo), pur avendo consentito un recupero di ben 7 miliardi rispetto ai 5 che ci erano stati tagliati, sicuramente non saranno sufficienti a ridare la piena efficienza di cui il nostro Comparto ha bisogno. Perché sappiamo già che quanto fatto non produrrà appieno il risultato che tutte le donne e gli uomini del mondo della sicurezza si aspettavano.
Alle donne e agli uomini della Polizia di Stato pur non sfuggendo la difficoltà con la quale ci siamo dovuti scontrare per dare l’attuale risposta a questo mondo, da troppo aspettano che le tante promesse fatte siano mantenute. Per riuscirci noi vogliamo cominciare dal riaffermare che la sicurezza non è più un costo di sistema, ma è una condizione imprescindibile per lo sviluppo economico, sociale e per la piena integrazione dei popoli. È un diritto e, in quanto tale, non si può tagliare.
Lo vogliamo fare rammentando che nel terzo rapporto sulla coesione economica e sociale della Commissione Europea, si legge: "la presenza di criminalità organizzata e della corruzione tendono ad ostacolare lo sviluppo economico ed esercitano un effetto di dissuasione sugli investitori potenziali. Un potenziamento della capacità di combattere la criminalità, una cooperazione transfrontaliera accresciuta, un miglioramento dei controlli alle frontiere esterne, una migliore integrazione dell'ingresso dei Paesi terzi nell'Unione, sono alcuni dei mezzi per sostenere lo sviluppo regionale" (alcuni studi da parte di operatori economici parlano di 16/21 miliardi di euro in meno ogni anno quali mancati investimenti da parte di operatori stranieri per effetto del tasso di criminalità nel nostro Paese).
Questo assunto della Commissione Europea nel suo terzo rapporto, grazie alla nostra capacità di dialogo con il governo, ha trovato spazio, per la prima volta nella storia della Repubblica, anche in un documento di programmazione economica-finanziaria nel quale l’esecutivo scriveva: la sicurezza e la giustizia sono da considerare fattori di moltiplicazione per lo sviluppo economico e sociale dei territori e quindi dell'intero sistema Paese.
Oggi, grazie a questi sforzi, alla dimensione sociale è stata finalmente riconosciuta un’uguaglianza con quella economica. Rafforzare e rendere sinergicamente effettiva la filiera della sicurezza e della giustizia, significa, però, intervenire sul modello che abbiamo, per ammodernarlo e per renderlo ancora più attuale rispetto alle nuove e complesse sfide che ci attendono: questo ammodernamento è indispensabile anche per rispondere al processo di privatizzazione che si è affermato.
Lo Stato non è più l'unico collettore delle domande di sicurezza delle città se consideriamo che i cittadini e le imprese richiedono e pagano per avere maggiori servizi di sicurezza a garanzia dei loro diritti; lo Stato non è più l'unico fornitore di questi servizi. Diventa dunque necessario interrogarsi su quale modello costruire per le future sfide: noi proponiamo un modello che diffonda una cultura integrata della sicurezza e della legalità capace di interpretare i bisogni dei singoli cittadini, delle famiglie, delle comunità locali, dei territori e delle imprese che su questi territori operano per far crescere il nostro Paese.
In questo senso, per il Siulp, il tema sicurezza e legalità nel nuovo progetto, si deve allargare verso un'accezione più ampia, per diventare parte della trama di civiltà dei diritti e della convivenza, così come abbiamo contribuito a disegnarla in questi anni.
Il punto di partenza dell'analisi per la migliore governance non può che essere costituito dalla stessa definizione del significato di Forze di polizia. La correlazione dei due termini ci porta immediatamente alla definizione consacrata nel testo dell'articolo 24 della legge 121 del 1981 dalla cui lettura emerge come i compiti delle Forze di polizia, a tutti i livelli e in tutti i momenti di loro applicazione, sono diretti al servizio della collettività e dei suoi cittadini.
Tutti gli attori che compongono il sistema sicurezza interno hanno una dimensione statale, e non locale, poiché nel nostro ordinamento le funzioni di pubblica sicurezza sono di pertinenza esclusiva dello Stato. Non a caso nell'articolo 16 della legge 121 del 1981 sono state individuate espressamente 5 Forze di polizia: la Polizia di Stato, l'Arma dei Carabinieri, la Guardia di Finanza, la Polizia Penitenziaria e il Corpo Forestale dello Stato. Quest'ultimo, oggi, in nome di una spending review veramente incomprensibile sul piano della sicurezza, sacrificato e assorbito dall'Arma dei Carabinieri. Una decisione dal Siulp non condivisa e avversata ma che il governo ha voluto comunque portare a compimento. Una decisione già smentita in parte dalla sentenza della Suprema Corte che ha finalmente stabilito che anche ai militari è consentito il diritto di associazionismo sindacale, seppur con i limiti che anche noi poliziotti abbiamo avuto.
La forte legittimazione delle Polizie italiane e il consenso riscosso nel Paese e nei cittadini sta nel loro modo di essere, nella credibilità che hanno conquistato in quasi due secoli di storia sul campo, pagando un tributo altissimo al bene supremo della sicurezza collettiva in termini di impegno, di sacrificio e, talvolta di sangue.
Ma vi sono nuove istanze della società e dei cittadini che esigono formule più adulte di visione politica e culturale: le tematiche complesse dell’odierna società impongono di affermare una nuova filiera della legalità nel solco del principio che il Siulp ha fissato nel cosiddetto treno della legalità. Un convoglio costituito da tre vagoni, sicurezza, giustizia e carcere, che per concretizzare il risultato finale devono necessariamente viaggiare alla stessa velocità. Oggi, purtroppo, la grave crisi della giustizia da un lato, che non riesce a garantire l’applicazione della pena in modo certo e immediato, e, dall’altro,quella della perdita della funzione rieducativa del carcere, hanno generato velocità diverse nei tre vagoni che rischiano di far deragliare il convoglio. Con il risultato che il cittadino, nell’insieme dell’azione dello Stato, non percepisce più la garanzia della giustizia, mettendo in discussione anche l’efficienza del Comparto Sicurezza, sebbene, ancora oggi, riscuote un alto gradimento da parte dei cittadini.
Per questi motivi, al sistema sicurezza sono richiesti sempre più funzioni succedanee; forse per l’impossibilità o, peggio per l’incapacità dei titolari ad assolverle, iscrivendo nell’alveo di Polizia anche questioni che, di fatto, nulla hanno a che fare con la nostra mission (si pensi allo smaltimento dei rifiuti in alcune zone del sud, al rilascio di passaporti e licenze, alla stessa immigrazione per la parte relativa al rinnovo dei titoli di soggiorno). Il tutto mentre la spending review si abbatteva anche su di noi, come una scure, creando situazioni di precarietà su organici e risorse, i cui effetti, ancora oggi pesano moltissimo.
Noi siamo stati assertori e sostenitori del nuovo concetto di sicurezza, volendola ricomprendere nella sua accezione più ampia che la vede come sicurezza sociale e, non più, come ordine pubblico o difesa con le armi. Per questo abbiamo richiesto e supportato la Polizia di prossimità, l’istituzione del poliziotto di quartiere. Una figura amata e voluta dai cittadini, ma anche dagli operatori economici e commerciali, perché quella presenza, non solo era un deterrente per i malintenzionati, fungeva anche da garante per chi usufruiva di quelle attività economiche o degli spazi pubblici comuni. Una vera e concreta rassicurazione del cittadino. Purtroppo il blocco del turn over, i tagli sui capitoli di bilancio che coprono questi impieghi, insieme alla crisi del sistema giustizia e carcere (che ha portato il legislatore ad alzare sino a 4 anni la soglia per scontare la pena in carcere) non confinando in carcere chi delinque, hanno fatto venir meno ogni forma di rassicurazione verso il cittadino. L’insicurezza è cresciuta perché si è assottigliato, nel suo insieme, anche il sistema di prevenzione che rappresentava la maggiore garanzia per quella sicurezza sociale.
Oggi, infatti, sebbene i reati diminuiscono, poiché il cittadino vede che chi ha tentato di rapinarlo, benché arrestato, il giorno dopo è di nuovo libero di delinquere, sta crescendo una convinzione diffusa sull’incapacità dello Stato a fornire risposte concrete e immediate su questo fronte. Generando, di contro, un’insicurezza sempre più diffusa. Alimentazione corroborata anche dai mass media, con la riproposizione continua di notizie ansiogene e dei mali che affliggono la giustizia e il sistema carcerario. Un’insicurezza preoccupante perché corre il rischio di minare le basi della nostra coesione sociale, e quindi anche delle condizioni che favoriscono lo sviluppo economico oltre che politico e sociale. A supporto di quanto detto, c’è anche uno studio dalla Banca d’Italia, effettuato nel 2012 per conto del Senato della Repubblica e della Camera dei Deputati, mirato a comprendere le dimensioni delle attività criminali, i costi per l’economia e gli effetti sulla crisi. Dallo stesso è arrivata la conferma alla denuncia che il Siulp lanciava da tempo.
La criminalità organizzata ha una elevata capacità di infiltrarsi nel tessuto economico e sociale, riesce ad instaurare relazioni con la società civile, si alimenta con la collusione e la corruzione. Ne risultano intaccati il comportamento civico, la fiducia, le reti di relazione, cioè il capitale sociale di un territorio. La corruzione, che oggi possiamo definire la nuova “lupara” delle mafie. Interrogarsi sul fatturato e sui “costi”, diretti e indiretti, della criminalità significa anche capire la sua capacità di “ferire” il tessuto economico legale, individuando dove le ferite sono più gravi, per definire consapevolmente strategie di contrasto più mirate ed efficaci.
Ma vi sono anche altre stime. Quelle ufficiali dell’Istat che, nel 2008, mostrano il valore aggiunto prodotto nell’area del sommerso economico che risultava compreso tra un minimo di 255 miliardi di euro e un massimo di 275 miliardi di euro, pari, rispettivamente, al 16,3 e al 17,5 per cento del Pil (da notare come solo con queste somme, in 8 anni, si potrebbe azzerare il debito pubblico). Queste stime, peraltro, si limitano al “sommerso”, che, pur avendo connessioni con l’economia criminale, non vi si identificano: costituiscono, pertanto una sottostima del fenomeno. Altre stime, basate su metodi “diretti”, sono quelle fornite da Eurispes, che valuta l’economia criminale in circa l’11,4 per cento del Pil per il 2007, e quelle prodotte da Confesercenti che, nel XIII Rapporto SOS Impresa, ne stima il valore economico in circa il 7 per cento del Pil. Lo studio della Banca d’Italia, in collaborazione con ricercatori delle Università Federico II di Napoli e dell’Università di Torino, ha stimato distintamente la componente di economia sommersa collegata ad attività classificabili come legali ma esercitate irregolarmente dalla componente “criminale” (per via della sottostante decisione di evasione fiscale, tributaria o contributiva).
Dai risultati ottenuti emerge un valore medio del sommerso fiscale e criminale in Italia nel quadriennio 2005-2008 pari, rispettivamente, al 16,5 per cento e al 10,9 per cento del Pil. Alle medesime conclusioni è giunto anche l’U.V.I. (Ufficio valutazioni impatto) del Senato con uno studio basato sul metodo cosiddetto “under reporting”. Il tasso complessivo di evasione per l'Irpef (stimato come rapporto tra redditi evasi e redditi lordi dichiarati) è quasi doppio rispetto a precedenti stime, passando da circa il 7,5% a circa il 14,4% della base imponibile potenziale. L'analisi econometrica ha confermato che l'under reporting riguarda soprattutto i contribuenti soggetti ad autotassazione. Per i redditi da lavoro autonomo e impresa il tasso stimato di under reporting (dato dal rapporto tra redditi non indicati nelle indagini campionarie e redditi spendibili veri) è infatti del 23%, per salire intorno al 44% per i redditi da locazione.
Grazie al nuovo approccio integrato, la stima del tasso di evasione totale sale a circa il 37% per i redditi da lavoro autonomo e impresa. L’evasione sulle rendite è intorno al 65%. A questo si deve aggiungere il costo della sicurezza preventiva (assicurazioni, impianti di allarme, costo più elevato del denaro) e quello della sicurezza privata (un giro di affari che quest’anno si attesta intorno ai 2 miliardi di euro circa con un raddoppio rispetto all’anno precedente). Questi costi immunitari sono elementi che contribuiscono a scoraggiare gli investimenti e a favorire la delocalizzazione.
Per portare a compimento il processo riformatore del riordino e ripristinare il modello di Polizia di prossimità, che si basa anche su una presenza capillare dei nostri uffici sul territorio extraurbano, il Siulp è per il loro mantenimento senza eccezione alcuna con ripristino degli organici per il corretto funzionamento (il che significa circa 3.000 unità oltre il turn over).
La domanda è: quali sono i programmi nel futuro della sicurezza? Dalle risposte dipenderanno le iniziative che metteremo in campo per la tutela della sicurezza dei cittadini, per garantire lo sviluppo economico, per la democrazia e anche per il bene dei poliziotti.

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