Da una eventuale unificazione delle Forze di polizia vedrei soltanto benefici e notevoli risparmi di gestione, ed un indubbio vantaggio a favore dei cittadini che si tradurrebbe in una maggiore sicurezza per una più alta presenza delle stesse sul territorio.
Quello dell’unificazione è un annoso problema che impegna i nostri politici sin dal 1919, con tentativi più o meno concreti perché ciò si attuasse. Nel 1925 fu posto fine a tutti questi tentativi e da allora soltanto prove tecniche di unificazione, quelle quali il governo D’Alema ha provveduto a mettere una pietra tombale definitiva creando, unica nel suo genere sull’intero globo, la Quarta Forza armata.
Parto dal non concordare con chi asserisce il no alla fusione a prescindere, e soltanto in nome di un non comprensibile “orgoglio di appartenenza”. Anziché pensare a un bene collettivo quale può essere la sicurezza pubblica nel Terzo millennio, si pensa ancora ad un “orgoglio di appartenenza”.
La sicurezza non la si fa o non la si produce con “l’orgoglio di appartenenza”, tutt’altro. Il passato, i ricordi e le tradizioni è bene che non vengano mai cancellati, ma legare il futuro al passato mi dice che qualcosa non vada per il verso giusto, oppure che ci sia qualcos’altro di più profondo che impedisce tutto ciò, e che “l’orgoglio di appartenenza” sia soltanto lo specchietto per le allodole per non portare a compimento una unificazione oramai non più rimandabile.
E’ bene che le tradizioni rimangano vive, ma non devono essere una palla al piede per la mancata costruzione di un modello di sicurezza più economico ed efficiente.
Rimanendo sul Vecchio Continente, soltanto l’Italia può, a ragione, essere definita la nazione delle 1.000 Polizie e delle 1.000 uniformi, seguita molto da lontano, solo dalla Grecia e dalla Spagna.
Per andare verso un processo di unificazione, la politica dovrà dimostrare di avere una seria volontà di perseguire questi obiettivi, ed il coraggio di resistere alla “casta” del Comparto Sicurezza, rischiando anche momenti di impopolarità e di mancato consenso. Ho fatto cenno al consenso perché, e non vi è bisogno che entri nei dettagli, i Comparti Sicurezza e Difesa sono dei veri e propri serbatoi di voti. La politica se la sente di rischiare per il bene di tutta la collettività?
Sarkozy, da ultimo in Europa, ha inserito la Gendarmeria, omolaga ai nostri Carabinieri, alle dirette dipendenze dell’Autorità nazionale della Sicurezza e cioè al Ministro dell’Interno, autorità civile. La Gendarmeria francese nacque ufficialmente il 16 febbraio 1791, ma la sua origine pare che risalga addirittura al 1600. Da questo esempio presero spunto molte altre Polizie europee, e tra queste proprio l’Arma dei Carabinieri (1886), nata quasi un secolo dopo la Gendarmeria francese.
Quindi un’arma come la Gendarmeria, più antica dei Carabinieri, e con un passato sicuramente non meno nobile, dopo alcuni secoli è passata alle dipendenze del Ministro dell’Interno, senza particolari prese di posizione o ostracismi vari. La Gendarmeria francese era, è, e sarà sempre, al servizio dei cittadini d’oltralpe con tutte le sue “gloriose” passate tradizioni.
L’Europarlamento da diverso tempo chiede ai Paesi membri un’unica Polizia con lo status giuridico civile, ma non mi risulta che questa esortazione in Italia sia stata mai presa in considerazione. E’ giustificabile per i cittadini, per la politica e per la sicurezza la presenza di cinque Forze di polizia, di cui due a competenza generale, che dialogano tra loro il minimo indispensabile?
Pensiamo ora ai vantaggi di un’unica Forza di polizia, con un’unica Sala operativa a dispetto dell’attuale pletora esistente, con tutti i problemi che questo comporta nella gestione delle risorse sia umane che tecnologiche. Il tasto dolente è proprio nel concetto di “unica Forza di polizia” che fa venire l’orticaria alla “casta”.
Ogni Forza di polizia che è alle precise dipendenze di un Ministro, ha al proprio vertice un direttore centrale, si chiami esso Capo della Polizia o Comandante generale dell’Arma, della Guardia di Finanza, della Polizia Penitenziaria o Corpo Forestale dello Stato, e via scendendo sino al livello provinciale, dove troviamo un questore per ogni provincia; con i relativi omologhi delle altre Forze di polizia. Se la politica avesse veramente l’intenzione di fare una seconda rivoluzione copernicana, molti dovrebbero rinunciare alla propria fetta di prestigio, partendo dalla politica stessa per finire con la “casta” delle Forze di polizia.
Allo stato delle cose, in Italia possiamo tranquillamente constatare l’esistenza di una quintuplicazione delle attività di Pubblica sicurezza che si svolgono in ambito terrestre, marittimo o aereo, senza peraltro calcolare le Polizie locali e quelle provinciali esistenti. Unificanto tutti questi settori si avrebbe una immediata riduzione dei costi e una presenza maggiore e costante sul territorio delle Forze di polizia. Il risparmio sarebbe rapido ed evidente.
In atto abbiamo cinque cabine di regia nazionali (una per ogni Forza dell’ordine) mentre ne potremmo avere soltanto una. Abbiamo 103 province con 515 Sale operative (una per ogni Forza dell’ordine) quando ne potremmo avere soltanto 103. Da questo calcolo è ovvio che rimangono fuori le cosiddette Sale operative minori ed autonome nell’ambito di ogni singola Forza di polizia (quale Polizia Stradale, Reparto Volo, Frontiera terrestre, aerea e marittima, Reparto Mobili e così via) superando di almeno il doppio la soglia delle 515 Sale operative esistenti in ambito nazionale.
Non è necessario essere esperti in matematica per comprendere quanti uomini e donne delle Forze dell’ordine si potrebbero recuperare, non tralasciando situazioni di non secondaria importanza quale potrebbe essere un unico intervento, un unico atto di indagine, un unico ente sul posto dell’evento delittuoso o d’indagine.
All’interno di questa unica cabina di regia si dovrebbero, naturalmente, ipotizzare le diverse specializzazioni quali l’ordine pubblico, reati finanziari, giudiziaria, Polizia stradale, Polizia ambientale, penitenziaria, aerea, marittima, ecc. mantenendo di fatto quell’“orgoglio di appartenenza” che sempre più spesso viene rivendicato.
Le Forze di polizia sono paragonabili a delle vere e proprie aziende il cui prodotto da garantire è la sicurezza. Lo si vuole continuare a garantire con “l’orgoglio di appartenenza”, o comunque con i retaggi del passato? Personalmente credo di no. La responsabilità di una mancata unificazione e quindi di una maggiore efficienza, va ricercata esclusivamente nella classe politica e nelle pressioni che su questa vengono esercitate dalle varie baronie del Comparto Sicurezza.
Per tornare ai costi, non credo che si possa neanche minimamente immaginare quale business possa ruotare attorno a questo Comparto in termini di attrezzature e risorse, con relativi costi di gestione e manutenzione.
Nonostante per legge dovrebbero esserci soltanto una banca dati nazionale interforze, di fatto ogni Forza di polizia ha un proprio Ced autonomo nazionale con le varie derivazioni territoriali, centinaia di Sale operative, ponti radio e frequenze, caserme, commissariati, stazioni, questure, legioni, autovetture, armi, elicotteri, aerei, natanti, centralini, uniformi, ecc.
Se avvenisse l’unificazione tutto si ridurrebbe ad un quinto, e di contro avremmo quattro quindi di personale in più al servizio della collettività. In Italia la forte resistenza ad una eventuale unificazione delle Forze di polizia ha un solo nome: Carabinieri. Carabinieri dai cui vertici è arrivato sempre un niet e un altolà alla politica, perché ciò non avvenisse. L’Arma si trova comodamente a cavallo tra due ottime situazioni: la prima delle quali è quella di essere stata elevata al rango di Quarta Forza armata, e l’altra di essere un Forza di polizia a competenza generale nell’ambito del Comparto sicurezza.
Ergo, l’Arma ha fatto una libera scelta chiedendo di diventare Quarta Forza armata ed è giusto che ciò vada rispettato. Ma è altrettanto vero che ciò non debba essere d’ostacolo a future scelte di unificazione. Come l’Arma ha chiesto e preteso di essere quella che è, credo che sia altrettanto giusto che ciò non ostacoli eventuali processi di unificazione, il cui unico scopo è un vantaggio per la collettività in termini di operatività e risparmio di risorse economiche che non sono cose di poco conto.
Non credo neanche che tutto il personale dell’Arma la pensi allo stesso modo e sarebbe cosa intelligente ed opportuna far esprimere l’intera base dell’Arma dei Carabinieri con un apposito referendum interno su quale sarebbe la scelta: se verso una unificazione o continuare ad esistere come Quarta Forza armata in un ambito militare e con una esclusiva competenza in quel settore.
Leggo su alcune delibere degli organismi di rappresentanza militari di base dei Carabinieri che per loro è irrinunciabile “la scelta di vita fatta nella gloriosa e insostituibile Arma dei Carabinieri”. Oppure che “l’assurda conseguenza di questa rivoluzione epocale sarebbe la perdita del più significativo simbolo dell’Arma: la bandoliera”. Gli italiani chiedono più sicurezza e loro si preoccupano di perdere la bandoliera, e ahimé c’è ancora chi si preoccupa di perdere la bandoliera... Sarebbe come parafrasare la logica usata da Maria Antonietta prima di essere ghigliottinata: “Maestà, il popolo ha fame e non c’è pane...” “Allora date loro delle brioches”.
L’attuale Ministro dell’Interno ci sta provando di nuovo, ma credo che la politica tutta sia chiamata a dare il proprio contributo, perché la soluzione al problema va trovata in tempi brevi. Se la politica si sente di agire nel vero interesse della collettività non deve far altro che portare in aula il provvedimento e renderlo legge dello Stato nel più breve tempo possibile, visto che l’attuale maggioranza ha già fornito ampia dimostrazione di approvare provvedimenti legislativi importanti in meno di un batter d’occhio.
L’unificazione delle Forze di polizia è un evento che richiederebbe la stessa rapidità di approvazione, superando gli interessi della politica e delle caste, il cui risultato sarebbe al solo vantaggio dei cittadini tutti, e delle casse dello Stato di cui tutti noi siamo parte.
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