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Aprile/2018 - Immagini e Cultura
Cinema
La dolcezza del mostro
di Fabio Paglialunga

Un inno all’Amore e un’accusa diretta
a una società che tende a creare
sempre più divisioni e meno legami

Lo stile registico e la poetica di Guillermo Del Toro sono riconoscibili nella maggior parte dei suoi film; collega spesso la favola all'horror accentuando il lato poetico e visionario, e in questo senso ‘The shape of water- La forma dell’acqua’ rappresenta forse la sua pellicola più riuscita. Uscendo dalla sala, mentre sullo schermo scorrono gli interminabili titoli di coda, in un modo o nell’altro si ci sente soddisfatti, leggeri, quasi come sotto l’effetto di un misterioso incantesimo.
Il regista messicano ci porta nella Baltimora di fine anni ’50, in piena Guerra Fredda tra Usa e Unione Sovietica, dove in un laboratorio segreto viene segregata una strana creatura anfibia, catturata in Sudamerica. L’incontro con Elisa, una donna delle pulizie muta, cambierà la vita di entrambi. Un film poliedrico, che mescola il thriller alla componente romantica, il macabro alla commedia, in quello che vuole essere anche un grande omaggio alla settima arte (in una scena bellissima il ‘mostro’ in fuga finisce in un cinema completamente vuoto durante una proiezione), attraverso il quale Del Toro riesce a portare alla luce la propria visione sfaccettata della vita, complicata e complessa ma piena di amore e tenerezza, presente anche nell’animo di una creatura mostruosa, che si contrappone a tutta la bestialità di alcuni esseri umani.
Usando immagini ipnotiche in una cornice vintage e supportato dalla splendida colonna sonora di Alexandre Desplat e dalla fotografia pittorica di Dan Laustsen, attraverso luci, colori saturi (il turchese su tutti) e continui richiami all’acqua - il film crea un “file rouge” monocromatico, un dipinto che culla lo spettatore dalla poetica sequenza d’apertura fino all’epilogo inatteso della storia. ... [continua]

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And the Oscar goes to...

La 90esima edizione della cerimonia degli Oscar, presentata da Jimmy Kimmel nella magica cornice del Dolby Theatre di Los Angeles, ha visto trionfare Guillermo Del Toro e il suo ‘The shape of water’. Il regista messicano ha ricevuto l’ambita statuetta sia per la Miglior Regia che per il Miglior Film, diventando il terzo regista del proprio paese a vincerla, dopo Alfonso Cuaron e Alejandro G.Inarritu.
Strameritati vincitori nella categoria Miglior Attrice/Attore Protagonista Frances McDormand, madre indimenticabile in ‘Tre manifesti a Ebbing, Missouri’ e Gary Oldman, che si è letteralmente trasformato in Winston Churchill ne ‘L’ora più buia’.
L’italiano ‘Chiamami col tuo nome’ di Luca Guadagnino riesce a portare a casa la Sceneggiatura Non Originale, per la quale in verità alza l’Oscar il 90enne James Ivory. Solamente premi tecnici invece per i bellissimi ‘Dunkirk’ e ‘Blade Runner 2049’.
Menzione speciale per Jordan Peele, primo autore di colore nella storia della manifestazione a vincere il premio Oscar per la Migliore Sceneggiatura Originale con il thriller Scappa-Get out, una dissacrante e feroce analisi del volto razzista degli Stati Uniti.

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