Negli anni del terrorismo mafioso, i boss calabresi
contribuirono alla strategia del terrore
con una serie di attentati ai Carabinieri
che dovevano contribuire
a piegare lo Stato. A Reggio Calabria,
un nuovo filone d’inchiesta
incrocia il processo di Palermo sulla Trattativa
«Giuseppe Graviano mi disse che si devono colpire i Carabinieri anche perché in Calabria altre persone si erano mosse. Difatti, in quei giorni in Calabria erano stati uccisi due carabinieri». Era il 18 giugno del 2009 quando Gaspare Spatuzza, l’ex mafioso di Brancaccio che ha svelato il clamoroso depistaggio delle indagini per la strage di via D’Amelio, ha deposto davanti alla Corte d’Assise d’Appello di Reggio Calabria che processava Consolato Villani, reo confesso degli attentati nei confronti di militari dell’Arma avvenuti in Calabria tra la fine del 1993 e l’inizio del 1994. Ed è a partire da quelle parole che la Procura di Reggio è tornata a indagare sul contesto e sul movente di quegli agguati, inquadrandoli nella «strategia della tensione» innescata dai boss corleonesi, dal 1992 al 1994, con una serie di stragi (da Capaci a Palermo, da Roma a Milano, da Firenze alla mancata strage dello stadio Olimpico contro i militari dell’Arma) che hanno scandito i tempi del passaggio dalla prima alla seconda Repubblica, per costringere lo Stato a trattare, come stanno tentando di dimostrare i magistrati della Procura di Palermo nel processo in corso nel capoluogo siciliano e ormai alle ultime battute. Secondo le indagini calabresi, scaturite dalle scarne ma precise dichiarazioni di Spatuzza, gli attentati calabresi si inseriscono nella strategia stragista di Cosa nostra siciliana, con cui erano stati concordati.
L’inchiesta della Dda di Reggio Calabria, lo scorso luglio, ha portato all’emissione di due ordinanze cautelari per il boss reggino Rocco Santo Filippone e per Giuseppe Graviano, il capo del mandamento di Brancaccio che sta scontando l’ergastolo per le stragi del ’92-’94, nonché a una serie di perquisizioni domiciliari fra le quali spiccano quelle a due ex funzionari del Sisde, Bruno Contrada e Vincenzo Aiello “faccia di mostro” (morto in agosto), coinvolti in diverse inchieste di mafia, lasciando intravedere uno scenario che coinvolge anche altri apparati dello Stato.
’Ndrangheta stragista
«La richiesta cautelare in esame rappresenta il frutto di attente e meticolose indagini, condotte dalla locale Procura distrettuale e coordinate dalla Procura nazionale Antimafia – sottolinea la gip Adriana Trapani, nell’ordinanza di custodia cautelare del 14 luglio 2017, sottoscritta anche Olga Tarzia, presidente dei gip di Reggio –, che hanno consentito, nel corso del tempo, attraverso l’apporto di nuovi e fondamentali elementi (prevalentemente fonti dichiarative) sapientemente raccordati e collegati, di individuare le causali dell’omicidio del 18 gennaio 1994 e dei due tentati omicidi dell’1 dicembre 1993 e dell’1 febbraio 1994, commessi tutti ai danni di appartenenti all’Arma dei Carabinieri, nonché di individuare alcuni dei mandanti e di ricostruire la pista e gli scopi sottesi a tali delitti.
«In particolare, il 18 gennaio 1994 venivano uccisi, sull’autostrada Salerno-Reggio Calabria, all’altezza di Scilla, i Carabinieri Fava Antonino e Garofalo Giuseppe.
... [continua]
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