Lavoro investigativo, pronto soccorso, medici di base, assistenti
sociali e psicologi sono chiamati a lavorare tutti insieme cogliendo
le avvisaglie di comportamenti aggressivi.
Un convegno organizzato dal Siulp di Bologna
Violenza alle donne. Si sta manifestando in Italia un’emergenza culturale che può essere contrastata attraverso il lavoro investigativo accompagnato dall’impegno di una rete sul territorio composta da pronto soccorso, medici di base, assistenti sociali, psicologi capace di coglierne le avvisaglie. Anche l’informazione può svolgere un ruolo efficace purché non sia pregiudizievole alle indagini come accade talora nei talk show che finiscono per umanizzare chi è ritenuto responsabile di un delitto.
Attorno a queste ipotesi di lavoro hanno ragionato, in occasione del convegno “Donne obiettivo di violenza: il caso di Rimini, la cultura del branco tra sicurezza e certezza della pena” organizzato dal Siulp di Bologna, il procuratore capo di Bologna Giuseppe Amato, il questore di Rimini Maurizio Improta, la senatrice Francesca Puglisi presidente della Commissione Parlamentare sul Femminicidio.
Il contrasto alle forme di violenza deve avvenire - ha spiegato il procuratore Amato - attraverso la prevenzione ma passa anche attraverso la promozione della cultura. Questi due elementi, insieme, possono evitare gli episodi di violenza, altrimenti l’unica soluzione è quella di limitarsi alla repressione e al contrasto tardivo.
Qui entra in gioco l’informazione. Per Amato “è materia da maneggiare con cura perché le iniziative autonome della stampa possono essere pregiudizievoli per le indagini”. La collaborazione - ha aggiunto - è auspicabile ma le indagini spettano a Polizia e magistratura e i fatti di Rimini stanno proprio lì a dimostrare che le Forze dell’ordine sono capaci di dare risposte”.
Anche per il questore Improta l’informazione deve essere corretta e “non deve rovinare le indagini”. Tornando ai fatti di Rimini il funzionario ha ricordato episodi inediti. “Sapevamo che in giro c’erano fotogrammi che i giornali hanno però responsabilmente ritenuto di non pubblicare”. Improta non ha spiegato se la mancata pubblicazione fosse stata in qualche modo sollecitata dalla Polizia e ha aggiunto: “Una volta che le indagini si erano fatte più avanzate abbiamo ritenuto che fosse utile smuovere le acque e appena il fotogramma dei presunti colpevoli è stato reso pubblico il padre dei ragazzi ha preferito scaricare i figli, giovani problematici con precedenti”. Sono passate poche ore e “abbiamo catturato il più giovane”. Quindi, un momento di rammarico. Prima dell’estate 2017 “avevo chiesto, come attività di prevenzione, di tenere illuminate le spiagge di notte perché il buio determina degrado e pericoli”. Il questore non deve evidentemente essere stato ascoltato ma per fortuna c’è stato “un ottimo rapporto con l’Autorità giudiziaria e con il Ministero a Roma che ha fornito uomini e mezzi per mettere in piedi una rete investigativa efficace”.
Dal canto suo, la senatrice Puglisi ha indicato come “cruciale” il ruolo dei media nel processo di acculturazione del Paese evitando la spettacolarizzazione “delle cose che non vanno”. Contro femminicidio, stupri, stalking, maltrattamenti e altre violenze sulle donne occorre però migliorare la normativa alimentando la collaborazione fra Enti locali, Forze di polizia, medici di base e pronto soccorso. Tutti, anche le Forze di polizia, devono saper cogliere i segnali di violenza domestica che va raccolta, presa in carico e gestita come fattore di prevenzione. “Va da sé - ha concluso la presidente della Commissione Parlamentare - che sarebbe necessaria anche una maggiore collaborazione tra giustizia penale, giustizia civile, Tribunali dei minori e assistenti sociali”.
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IN VENTI RIGHE
Rimini sud, 6 agosto 2017, Bagno 130. Due polacchi, un ragazzo e una ragazza, passeggiano la notte lungo la spiaggia quando vengono “intercettati” da quattro giovani immigrati. Lui viene tramortito con una bottiglia di birra, lei, trascinata sulla battigia, viene violentata dai quattro a turno. Sanguinante, la giovane polacca riesce a “ridestare” il compagno e, assieme, si avviano verso la strada dove si imbattono in una prostituta che dà l’allarme. Nel frattempo, il branco fugge e si dirige verso una zona di prostituzione: qui sfoga nuova ferocia su una trans peruviana che viene picchiata, violentata e rapinata. Iniziano, immediate, le indagini delle Forze dell’ordine
Il 2 settembre un giornale pubblica la foto dei quattro inquadrati dalle telecamere di sorveglianza. Il giorno seguente un marocchino riconosce nell’immagine i propri due figli invitandoli a costituirsi.
3 settembre. Gli investigatori individuano in un congolese maggiorenne il capo del branco grazie alla ricostruzione della trans e alle confessioni degli altri indagati, due fratelli marocchini di 15 e 16 anni e alle indicazioni del terzo complice, un 17enne nigeriano.
Il congolese, reo confesso in carcere a Pesaro, è condannato a 16 anni di reclusione, 4mila euro di multa, al risarcimento delle parti, al pagamento delle spese processuali, comprese quelle di mantenimento in carcere. A pena espiata sarà espulso dal nostro Paese.
I minorenni sono stati condannati a nove anni e otto mesi.
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