Caro Direttore ti scrivo. Grida e poi silenzi, come scrivevi tu nell’editoriale di ottobre. E’ proprio vero, il popolo è stato normalizzato e narcotizzato da certa politica. Nonostante le urla di dolore e di sdegno, il silenzio è sceso su piazza Fontana, sulla stazione di Bologna, sull'Italicus, Ustica, piazza della Loggia, via Georgofili, G8, Capaci, D’Amelio, Aldrovandi, Cucchi.
Anch'io sono rimasto inorridito dalle immagini e dalle notizie di Genova che la tv trasmetteva.
Scrivo per confessare tutto il dolore che ho vissuto da spettatore in quei tragici giorni e per non essere stato lì a gridare il mio disappunto e denunciare tutto quel marcio. L'aver fatto il poliziotto con spirito libero mi ha spinto a segnalare sempre quanto di sbagliato a tutti i livelli ho visto, andando contro i falchi che detenevano il potere oligarchico e che spesso mi hanno fatto attraversare le forche caudine con denunce al Tribunale militare, visita psichiatrica, trasferimento punitivo. Non mi sono mai fermato e zittito di fronte a nulla e dai silenzi sono sempre passato ai toni alti quando vi era necessità. Ancora oggi sono qui a gridare diritti per tutti. In quei dieci anni di lotte mi sono prodigato per la smilitarizzazione e sindacalizzazione del vecchio Corpo delle Guardie di Pubblica Sicurezza, per maggiori professionalità e dignità dei poliziotti e per l'ingresso delle donne, per dare la possibilità a dei lavoratori speciali di godere di uguali diritti affinché tutti potessero avere voce per gridare che con la loro rivoluzione volevano essere fratelli maggiori "con la gente e per la gente" e non più un corpo separato, un nemico manganellatore nelle piazze.
Alcuni giorni dopo aver visto tante immagini e letto diversi giornali che raccontavano i fatti di Genova sono passato allo sconforto. Dopo quei no urlati nel silenzio dentro di me ho pensato "Dieci anni di lotte e sacrifici buttati al vento!"; la rabbia e l'amarezza mi hanno pervaso per lungo tempo, e provavo vergogna di fronte agli amici come se fossi stato io l'autore di quelle ignobili violenze.
E’ troppo educato chiamare l'inchiesta sul G8 vergogna di Stato. Giorni prima della manifestazione, da Roma a Genova sono arrivati i più grandi esperti di ordine pubblico, terrorismo, artificieri e quant'altro. E il questore? Quando si è rotto il giocattolo che li avrebbe portati a toccare il cielo con un dito sono fuggiti e si sono rintanati nel palazzo, e il povero questore a prendersi tutte le responsabilità.
Invito a scorrere le immagini di allora, a guardare i volti e a leggere i giornali e i nomi lì riportati in quei giorni: se la mia mente non si sbaglia fra gli ispettori c'erano uomini che al nostro fianco si erano impegnati per smilitarizzare e sindacalizzare i poliziotti e che si professavano bravi sindacalisti. Se lo fossero stati, si sarebbero dovuti togliere gli elmetti e dai silenzi del palazzo sarebbero dovuti scendere in piazza e gridare alla gente la verità. E' troppo facile oggi per Gabrielli dire quattro parole forse ad effetto su tanti argomenti. Nella mia vita di parole ne ho ascoltate tante anche ai funerali di Capaci e via D'Amelio, a Palermo ero presente quando uno simile a Gabrielli si guadagnò urla e... anche Napolitano a camere riunite ne disse tante, un fiume in piena e tutti ad applaudire; guarda dove siamo finiti, in un pantano.
Dal silenzio che mi circonda urlerei con tutta la mia forza a Gabrielli e a tutti gli altri che Aldrovandi lo hanno ucciso un manipolo di poliziotti che continuano a fare i poliziotti grazie ai silenzi. Hanno fatto cadere nel silenzio le grida accorate di una madre, così come le urla di quattro squadristi fascisti che a Ferrara hanno sfilato in difesa della mondezza. E dal palazzo è calato un vergognoso silenzio, sì, un silenzio generale anche da parte degli altri sindacati nel caso del G8, di Aldrovandi e di tutti gli altri fino a Cucchi. Non sono stati in grado di contromanifestare, io avrei rivoltato il palazzo senza paure.
Gabrielli è uno come tutti gli altri, sta bene nel potere e dal potere è trattato bene, anziché pronunciare parole di circostanza che ha usato nel caso dei Forestali, per il suo ruolo di coordinatore di tutte le Forze di polizia, si sarebbe dovuto trasformare in un muro e urlare "i Forestali non si toccano!", invece quando il governo combinava disastri, lui dov'era? Sarebbe dovuto uscire dal palazzo e gridare le verità che non conosciamo e invece no. Avrebbe dovuto fare spallucce al potere che lo circonda, e se l'avessero mandato via gli avrebbero dato una lauta pensione e liquidazione. Con i suoi silenzi ha permesso la soppressione della Forestale senza ascoltare le proteste delle donne e degli uomini in divisa verde e ha lasciato che si sperperassero immense risorse economiche. Anziché pronunciare parole di circostanza, avrebbe potuto scrivere ai Tribunali dei ricorrenti o andarci di persona per dire che quella riforma era un grave errore e un danno per il Paese. Per riscattarsi ha ancora tempo, ma osannarlo per quattro parole no, mille volte no; quelle parole seguite da fatti acquisirebbero un grande valore a favore dei Forestali per servire meglio lo Stato.
Avrebbe potuto chiedere aiuto a tutte le organizzazioni sindacali delle Forze di polizia estendendo la richiesta a Cgil, Cisl e Uil mobilitando pacificamente una massa di persone che avrebbero fermato i silenzi e questa riforma. Pochi poliziotti a Torino si levarono l'elmetto e tutti tremarono: pensa se tutto il Comparto Sicurezza con lui si fossero tolti l'elmetto sostenuti da tutto il mondo del lavoro. Questo governo avrebbe sì, forse, cambiato un capo, ma un popolo unito in movimento, avrebbe trovato una grande guida e avrebbe mandato a casa tutto il ciarpame.
Mi viene in mente il vice questore Maria Teresa Canessa che, proprio lì a Genova recentemente, con senso di responsabilità e con grande umanità durante una manifestazione in un momento di tensione con i metalmeccanici ha stretto la mano a un operaio che aveva di fronte, ha usato il buonsenso e non la violenza o la tortura dando una lezione a Gabrielli, ai politici, al Comparto Sicurezza e ai militari. Ha dimostrato che nel vivere civile, nella libertà e nei diritti attraverso la cultura, si può passare dai silenzi pericolosi alle grida di gioia.
Mi auguro che il regista del futuro film su Cucchi trovi con la brava protagonista un momento, uno spazio per parlare dei silenzi e fargli gridare di quanta omertà schifosa sono impregnati i muri dei palazzi del potere.
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