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Novembre-Dicembre/2017 - Interviste
Speciale Siulp/ Intervista a Felice Romano
"Sicurezza, giustizia e repressione non possono viaggiare a velocità diverse"
di Lorenzo Baldarelli

A colloquio con Felice Romano, segretario generale del Siulp,
sui temi caldi della legalità, del terrorismo e della sicurezza.
Occhi puntati anche sullo sblocco salariale e il riordino
delle carriere

L’Italia è tra i Paesi più corrotti d’Europa, siamo al 66esimo posto su 176, peggio di noi solo la Grecia e la Bulgaria. Questo il verdetto del nuovo report di Transparency International, che aggiunge che le leggi in Italia sono buone, ma la loro applicazione è carente. Cosa ne pensa? Cosa si può migliorare e cosa in realtà non va nella repressione di questo cancro?

Sono anni che l’Italia viene posizionata negli ultimi posti della classifica, di certo non è una novità. Condivido del report di Transparency International il fatto che le leggi siano buone ma la loro applicazione meno. Ma questo purtroppo è il nodo che abbiamo in questo Paese; negli ultimi vent’anni il legislatore ha agito sempre sull’onda emotiva del momento e non con un ottica complessiva del 'sistema Paese’. Dico questo perché il Siulp sono circa trentasette anni che afferma che la legalità e quindi sicurezza, giustizia e repressione sono tre vagoni dello stesso convoglio.
Il paragone calza perché la fisica ci spiega che se in un convoglio c’è un vagone che va ad una velocità diversa degli altri il convoglio deraglia. Ed è esattamente quello che avviene nel nostro Paese. Il treno, poi, è spinto da una motrice impazzita, la politica. Abbiamo assistito ad una legislazione schizofrenica, che ha sempre e solo ragionato in termini emergenziali; potrei fare decine di esempi.
Problema delle rapine nei negozi? Bene, il governo di turno, per aumentare il suo consenso, interviene sulle pene. Nella maggior parte dei casi, gli interventi si sono conclusi nel prevedere una pena massima superiore a quella prevista precedentemente, in genere accompagnata da spot mediatici. Per una rapina non si rischiano più 7 anni ma 10, però si parte sempre da tre mesi. Il che comporta, in sede di applicazione della norma, che il giudice, dovendo partire da un minimo ad un massimo e dovendo tenere conto di tutte le circostanze attenuanti, è costretto a tener fuori il rapinatore. Questo agli occhi del cittadino è una sconfitta dello Stato e genera sfiducia.
Ora anche noi abbiamo perso il conto dei ‘Pacchetti Sicurezza' o delle leggi anti corruzione, tutte leggi che non hanno fatto altro che illudere i cittadini o complicare la giurisprudenza. Sulla corruzione, ad esempio, la situazione è molto simile. Se io ho un rappresentante dello Stato, a qualsiasi livello, che in ragione del suo mandato anziché agire nel bene comune, agisce per fare i suoi affari e in più viene scoperto e giudicato ma di fatto però in carcere non ci arriverà mai (non c’è più la flagranza). Questo cosa comporta per l’opinione pubblica?

Il nuovo Codice antimafia però cerca di andare da un’altra parte?

Solo il nuovo Codice antimafia un po’ ci fa sperare in meglio. Da poliziotto mi rallegra, da cittadino però un po’ mi lascia qualche perplessità. Mi spiego: si prevede la confisca dei beni anche per la corruzione, alla stessa stregua dei mafiosi. Questa misura in realtà è già attutiva ma lo è divenuta in funzione della giurisprudenza recente.
Pensiamo solo all’eclatante caso di 'Mafia Capitale’; dove alcune confische sono state operate non a ragione di una norma fatta dal legislatore, ma in ragione di sentenze che i vari Tribunali d’Italia avevano emesso. Questa norma nel solco della giurisprudenza dice: caro amico mio, se tu corrompi un pubblico ufficiale, corrompi uno della pubblica Amministrazione per ricavarne un profitto, per me tu sei trattato alla stessa stregua di un mafioso. Puoi tu dimostrare che tutto ciò che hai lo hai maturato con la tue attività lecite? Se non è possibile io intanto te lo sequestro e te lo metto a confisca....... ... [continua]

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