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Luglio-Agosto/2017 - Articoli e Inchieste
Istituti penitenziari
Carceri affollate: tutti fuori. A controllare arrivano i volontari
di Federico Olivo - Ispettore Capo Polizia Penitenziaria

Il ministero della Giustizia rafforza la collaborazione con il mondo del volontariato per la gestione delle persone in esecuzione penale esterna. Il 9 giugno infatti, è stato siglato a Roma, presso il carcere di Rebibbia, il protocollo d’intesa tra il Dipartimento per la Giustizia minorile e di comunità e la Conferenza nazionale Volontariato giustizia, l’organizzazione che rappresenta le maggiori associazioni che operano nel settore della giustizia, per un totale di circa diecimila volontari.
Il sistema penitenziario già si avvale dell’apporto del volontariato, ma ora il Ministero chiede un aiuto anche per seguire le misure alternative al carcere, in particolare, il Dipartimento riconosce la Conferenza nazionale Volontariato giustizia quale interlocutore di riferimento per le scelte programmatiche che riguardano gli ambiti di intervento del volontariato nel settore della giustizia e si impegna ad agevolare l’accesso e lo svolgimento delle attività dei volontari, in collaborazione con gli Uffici di esecuzione penale esterna.
L’accordo prevede undici punti tra i quali: la realizzazione di una mappatura e di una banca dati delle agenzie di volontariato, la stipula di convenzioni per lo svolgimento da parte dei detenuti di attività non retribuite a beneficio della collettività, promozione dell’offerta di programmi di sensibilizzazione e di educazione alla legalità e alla solidarietà, promozione dell’offerta di programmi di accoglienza residenziale per persone che altrimenti non avrebbero la possibilità di accedere a misure esterne, l’inserimento della documentazione utile nel fascicolo del singolo utente e inoltre che i volontari impegnati sul singolo caso potranno partecipare agli incontri delle équipe trattamentali e nelle verifiche dei programmi di trattamento. La durata dell’accordo avrà efficacia per 3 anni e verrà rinnovato con il consenso delle parti.
"È importante - ha spiegato il Capo Dipartimento - conferire al volontariato il ruolo di interlocutore e di collaborazione nella ricerca di sempre maggiori opportunità di reinserimento per la persona che esegue la pena all’esterno anche perché questo, in termini di sicurezza sociale, è un segnale di grande apertura: un incoraggiamento ulteriore per la collettività a rendersi conto che un buon percorso di reinserimento è anche un valore in termine di sicurezza sociale".
Per comprendere meglio la portata dell’accordo, bisogna prima di tutto conoscere alcuni aspetti partendo dall’attuale assetto del ministero della Giustizia scaturito dal D.p.c.m. 84/2015 che prevede un Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria (Dap) responsabile delle carceri per adulti e un Dipartimento per la Giustizia minorile e di comunità (Dgmc) che si occupa di carceri minorili ed esecuzione penale esterna. Prima di allora era il Dap, attraverso la Direzione generale e gli Uffici per l’esecuzione penale esterna (Uepe) che aveva il compito di seguire le persone adulte nell’esecuzione penale al di fuori delle carceri. Dal 2015 invece, le competenze, la Direzione e gli Uffici sono passati sotto la responsabilità del rinnovato Dgmc che fino ad allora si occupava solo di detenuti minorenni.
Perché spostarla da un Dipartimento all’altro?
La spiegazione del Ministro è stata: “Si è tenuta presente l’esigenza di attuare una valorizzazione delle esperienze tecnico-professionali già maturate in taluni settori dell’Amministrazione, come quello dell’esecuzione penale esterna”. In questo modo si è preferito incardinare l’esecuzione penale esterna in un Dipartimento, quello che si occupava solo di minorenni, giudicato più abituato e pronto ad accettare una concezione meno carcero-centrica (come viene spesso definita) rispetto al Dap, ritenuto un Dipartimento abituato ad affrontare le questioni con una mentalità più chiusa.
L’esigenza di fondo rimane quella di rendere l’intero sistema dell’esecuzione della pena più efficace ed efficiente e il parametro (sia pure indiretto) per misurare il successo di tali sforzi è la percentuale di recidiva.
Qual è allora la recidiva in Italia?
Nessuno lo sa con precisione, nemmeno il Ministro della Giustizia. Sembra assurdo, ma è proprio così e prossimamente cercherò di chiarire meglio questa affermazione. Tuttavia, per ora, prendiamo per buoni i valori di recidiva sui quali tutti fanno riferimento. Secondo questi, la recidiva di chi sconta la pena in carcere è del 68% mentre quella di chi sconta la maggior parte della pena all’esterno è del 19%. Sono le cifre di uno studio del Dap effettuato nel 2007, sulle statistiche di chi aveva fatto rientro in carcere dal 1998 al 2005 e sono quelli sui quali oggi ci si basa per le proposte della riforma penitenziaria. Partendo da questi numeri, sono tutti convinti che l’esecuzione penale esterna è il settore in cui investire con urgenza.
Ma un altro motivo è anche il fatto che il numero delle persone in carcere sta aumentando di nuovo, con un tasso di crescita dell’8% (da dicembre 2015 ad aprile 2017). Perciò, tutto il mondo politico si è convinto che bisogna trasferire il carico dalle carceri (intra-moenia), all’esecuzione penale esterna (extra-moenia).
I dati ufficiali aggiornati al 31 maggio 2017 ci dicono che, a fronte di 56.863 persone detenute in carcere, ci sono 46.076 persone che usufruiscono di una misura esterna al carcere, delle quali: 13.803 in affidamento in prova al servizio sociale (30% del totale), 10.405 in detenzione domiciliare (22,7%), 9.891 in messa alla prova (18,3%), 7.137 in lavori di pubblica utilità (15,5%), 3.806 in libertà vigilata (8,3%), 809 in semilibertà (1,8%), 170 in libertà controllata (0,4%), 10 in semidetenzione (0,02%).
Riusciranno gli Uepe a sostenere il carico che è già arrivato dalle carceri e che, stante il crescente ed inarrestabile affollamento dei penitenziari, aumenterà nei prossimi mesi?
A giudicare dalle prime proteste dei lavoratori del settore, l’intero sistema dell’esecuzione penale gestito dagli Uepe è in grave sofferenza.
Nella lettera aperta che il 22 maggio scorso i Sindacati dell’Ufficio interdistrettuale di esecuzione penale esterna di Milano hanno inviato ad Andrea Orlando e a Gemma Tuccillo, i rappresentanti dei lavoratori hanno denunciato che negli ultimi anni, a fronte di una carenza di organico del 30%, le pratiche da gestire sono raddoppiate: “Presso I'Uiepe di Milano svolgono la propria attività di funzionari della professionalità di servizio sociale 22 assistenti sociali a tempo pieno, 12 assistenti sociali a tempo parziale (dal 50% all'80%) e 10 esperti di servizio sociale ex art. 80 a convenzione (scadenza 30.12.2017) con orario di lavoro a tempo parziale (dal 40 % all'80% ). Il suddetto personale attualmente ha in carico 5.500 casi di cui circa 3.500 misure alternative (1.700 affidamenti in prova al servizio sociale), misure di sicurezza, sanzioni sostitutive (lavori di pubblica utilità); 1.500 messe alla prova e istanze pendenti di messa alla prova. Inoltre hanno in carico circa 500 attività di consulenza e trattamento svolte su richiesta dei Tribunali di sorveglianza e gli istituti penitenziari.
Nel 2016 sono stati eseguiti circa 12.000 procedimenti e attualmente ogni funzionario di servizio sociale segue una media di 60 affidati in prova. In Lombardia gli Uepe di Milano, Pavia, Brescia, Como, Mantova e le sedi distaccate di Varese e Bergamo gestiscono circa 13.500 casi con 94 assistenti sociali (part-time e a tempo pieno). La situazione, rispetto ai carichi di lavoro, per l'Uiepe di Milano sembra che debba subire un ulteriore e del tutto insostenibile aggravio sia per il previsto invio da parte del Tribunale di sorveglianza di Milano di migliaia di richieste di indagini arretrate che per l'ampliamento delle competenze territoriali, così come comunicato in questi giorni dalla Direzione generale di esecuzione esterna e di messa alla prova. Attualmente i funzionari di servizio sociale che svolgono la loro attività a tempo pieno presso l’Uepe di Milano, gestiscono una media di 160 casi a testa, superando di gran lunga quei limiti di rapporto tra utente e assistente sociale necessari a consentire una qualificata ed efficace presa in carico”.
A questo punto inizia ad essere più chiara l’importanza del protocollo d’intesa stipulato dal ministero della Giustizia con le associazioni di volontariato. Senza il loro aiuto, l’intero sistema dell’esecuzione penale esterna collasserà sotto il peso di scelte che puntano dritto verso un utilizzo quanto più possibile esteso delle misure penali esterne al carcere, apparentemente giustificate da un dato sulla recidiva non esatto e senza che vi sia in programma un piano per un congruo numero di persone da assumere in grado di sostenere i carichi attuali e gli incrementi dei prossimi mesi.
Tutta questa inefficienza non potrà che ricadere sul lavoro delle Forze di polizia incaricate del controllo del territorio e la repressione dei reati.
Bisogna considerare che tutte queste decine di migliaia di persone che le carceri non riescono più a contenere e che per questo (soprattutto per questo) la politica sta cercando di non far entrare in carcere e di farne uscire quante più possibili, non sono cittadini comuni, ma persone condannate per aver commesso reati, spesso recidivi e che lo Stato, da un lato condanna e dall’altro agevola con l’esecuzione di una pena da scontare all’esterno dei penitenziari.
La recente approvazione della legge delega al governo per la riforma del Codice penale, di procedura penale e dell’Ordinamento penitenziario, ha messo in previsione che anche la Polizia Penitenziaria possa partecipare ai controlli all’esterno delle carceri, ma con un organico già ridotto all’osso che a malapena riesce a gestire i penitenziari e senza che (anche in questo caso) vi sia alcun piano di incremento dei poliziotti penitenziari, né nel breve né nel medio periodo, è logico supporre che il supporto della Penitenziaria nei controlli all’esterno sarà pressoché nullo.


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