Il film per la televisione realizzato da Netflix prende lo spunto
dal suicidio di una ragazza che, prima di morire, incide
cassette audio da far recapitare a chi lei ritiene responsabile
della sua fine
Un normale liceo americano. I lunghi capelli sciolti sullo zaino. Le feste dei primi amori tra alcol e fumo. Una lametta che incide le vene e riempie di sangue una vasca.
“Tredici” (in originale 13 Reasons Why) è una serie televisiva messa in onda da Netflix nel marzo del 2017 e creata da Brian Yorkey, che ha adattato un romanzo di Jay Asher. Tredici sono anche le ragioni che hanno portato l’adolescente Hannah Baker a suicidarsi. Prima di morire, la ragazza incide delle cassette audio che farà recapitare ad alcuni compagni di scuola, ognuno a suo modo ritenuto responsabile della sua fine. Cassetta per cassetta, puntata per puntata, verrà a galla una verità sconvolgente.
Il team degli autori è riuscito a prendere un prodotto grezzo e a perfezionarlo fino a renderlo completo, superando i limiti del libro e ampliandone gli sviluppi. Infatti a Clay, il vero protagonista e migliore amico di Hannah, vengono affiancati molti personaggi secondari solo all’apparenza; in realtà ognuno di loro ha un suo background e un suo spessore, decisivi per individuare le ragioni dei comportamenti con Hannah, e per valutarne le diverse reazioni nel ritrovarsi coinvolti in una storia così tragica.
Il rischio del banale e dello stereotipo era dietro l’angolo, e in effetti un paio di scivoloni ci sono (la cheerleader dal cuore d’oro, lo stupratore ricco e impunito), ma l’intero cast di giovani interpreti riesce ad essere convincente e a generare nello spettatore inquietanti quesiti: e se fosse successo a me? E se quella fosse mia figlia?
La madre di Hannah, una straordinaria Kate Walsh (già vista in Grey’s Anatomy, CSI, Law and Order), trasmette tutto il dolore di una donna che ha trovato sua figlia in un lago di sangue e tutta la forza di non arrendersi all’ineluttabilità dei fatti, combattendo per una verità che potrebbe salvare la vita ad altri ragazzi.
L’approccio alle tematiche è particolarmente adulto e diretto a scuotere le coscienze degli spettatori, cercando di far dimenticare le immagini patinate che spesso vengono associate al mondo degli adolescenti. Le scene di stupro e soprattutto del suicidio sono molto forti e difficili da digerire, ma nel complesso la serie affronta temi attuali e delicati con adeguata sensibilità, con l’obiettivo di mandare messaggi al pubblico di tutte le fasce di età. Prestare attenzione agli altri, chiederci sempre il perchè delle loro azioni, non dare importanza esclusivamente al proprio microcosmo fatto di lavoro, scuola e tv, smartphone, calibrare i propri comportamenti quotidiani per evitare che possano danneggiare altre persone. E forse il più importante: il suicidio non è mai la soluzione.
La qualità della regia, la cura maniacale di una fotografia che alterna luminosità a momenti dark, l’interessante colonna sonora che richiama film e icone degli anni ’80, fanno di Tredici la rivelazione dell’anno. Con tanto di finale aperto, che spalanca la finestra sull’orizzonte di una probabile seconda stagione.
E sul dibattito che si è scatenato, anche nel nostro Paese, sull’ipotesi di trasmettere Tredici nelle scuole medie e nei licei, è difficile prendere una posizione, ma la sensazione è che potrebbe essere un modo diverso per far riflettere sulla piaga del bullismo in Italia.
Secondo alcuni dati, che emergono da un’indagine recente di Skuola.net e Osservatorio nazionale Adolescenza (per conto di Una vita da social, iniziativa della Polizia di Stato), su circa 8mila adolescenti, il 28% degli alunni delle scuole superiori è vittima di bullismo. La percentuale sale al 30% tra quelli delle medie. Con l’8,5% preso di mira sul web e relativi social.
Tra loro, il 46% ha pensato almeno una volta al suicidio, tra le vittime di cyber bullismo addirittura il 59%. Di recente è stata approvata la legge che definisce finalmente il bullismo telematico e offre nuovi strumenti di difesa per le vittime di aggressioni on line, tra i quali la nomina di un docente referente per ogni istituto scolastico e la possibilità per i minori di almeno 14 anni, anche senza l’intervento di un adulto, di richiedere al gestore del sito o al social network la rimozione di contenuti offensivi, ricorrendo se necessario al Garante della privacy.
Ci sono tantissime Hannah Baker intorno a noi. Con un po’ di attenzione possiamo salvarle.
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