Settemila uomini impiegati in una
missione che ha lo scopo di controllare
il territorio e che si prefigge
di contrastare malavita e terrorismo
La missione “Strade Sicure” è presente in 45 province italiane e impiega sul territorio nazionale 7.050 unità, con lo scopo di controllare, insieme alle Forze di polizia, il territorio e tutelare obiettivi sensibili, contribuendo alla prevenzione e al contrasto del terrorismo. In sette anni di attività ha permesso, insieme alle Forze dell’ordine, di controllare: 2.103.347 persone (di cui poi 14.635 arrestate e 9.973 denunciate da Polizia e Carabinieri che hanno sequestrato anche 661 armi e oltre 2 tonnellate di stupefacenti), 1.095.139 mezzi (di cui 12.456 sequestrati da Polizia e Carabinieri). Non è una missione che costa poco: in sette anni sono stati spesi quasi 500 milioni di euro di cui solo 30 per le Forze di polizia che accompagnano i militari nei pattugliamenti e nei presidi.
Questa aliquota di militari, opportunamente addestrati, è a disposizione dei Prefetti: la legge (del 24 luglio 2008, n. 125, art. 7 bis) stabilisce che “il personale delle Forze armate non appartenente all'Arma dei Carabinieri agisce con le funzioni di agente di pubblica sicurezza e può procedere alla identificazione e alla immediata perquisizione sul posto di persone e mezzi di trasporto a norma dell'articolo 4 della legge 22 maggio 1975, n. 152, anche al fine di prevenire o impedire comportamenti che possono mettere in pericolo l’incolumità di persone o la sicurezza dei luoghi vigilati, con esclusione delle funzioni di polizia giudiziaria. Ai fini di identificazione, per completare gli accertamenti e per procedere a tutti gli atti di polizia giudiziaria, il personale delle Forze armate accompagna le persone indicate presso i più vicini uffici o comandi della Polizia di Stato o dell'Arma dei Carabinieri. Nei confronti delle persone accompagnate si applicano le disposizioni dell'articolo 349 del Codice di procedura penale”.
La legge ed i suoi rimandi giuridici, assicurano una buona operatività dei militari, dando loro funzioni idonee allo svolgimento del lavoro. Tuttavia, dalle domande fatte, grazie alla loro gentilezza e disponibilità, ai ragazzi in divisa in servizio per la missione “Strade Sicure”, emerge un quadro sconfortante circa la percezione delle loro qualifiche giuridiche. Non sanno compiutamente quali sono i poteri di “pubblica sicurezza” o di essere “pubblici ufficiali”, con tutte le conseguenze positive e negative derivanti da questo status. La frase che riassume tutte le varie insicurezze sentite, nelle circa 100 micro-interviste fatte, è: “non possiamo arrestare perché non siamo pubblici ufficiali” – detta da un Parà in servizio alla Stazione di Firenze. E’ probabile che siamo stati particolarmente sfortunati e che abbiamo fatto domande solo a militari “ciucci”, ma il difetto sembra sistemico e dipendente dalla formazione, durante “l’approntamento” per la missione. Non è dato sapere se per ignoranza dei formatori o per scelta didattica. In entrambi i casi, la poca preparazione giuridica dei militari potrebbe vanificare molti degli interventi da attuare per contrastare la criminalità.
Sono pubblici ufficiali
Come afferma il dott. Doriano Ricciutelli, già docente di diritto di Polizia presso l’Istituto superiore di Polizia: “Si può certamente sostenere che i militari in servizio per l’operazione “Strade Sicure” possano vantare la qualità di pubblici ufficiali in base alle previsioni dell’art. 357 del Codice penale, atteso che trattasi di soggetti che concorrono a formare la volontà della Pubblica amministrazione con poteri anche di coazione, peraltro come tutti gli appartenenti alle Forze di polizia e Forze armate dello Stato”.
E’ chiaro allora che con la qualifica (e i poteri) derivanti dall’essere agenti di “pubblica sicurezza” i militari siano anche “pubblici ufficiali”.
Seppur i “poteri” derivanti dall’essere “agenti di pubblica sicurezza” non siano pochi e vadano dalla possibilità di identificare persone alla loro perquisizione sul posto, i militari possono fare anche di più, come, ad esempio, ordinare (quando, come nelle stazioni, lavorano a stretto contatto e nel caso ce ne fosse bisogno) disposizioni alle Guardie Giurate che in virtù dell’art 139 Tulps “sono obbligati ad aderire a tutte le richieste a essi rivolte dagli ufficiali o dagli agenti di pubblica sicurezza”.
E’ tuttavia la qualifica di pubblico ufficiale che comporta maggiori responsabilità, e infatti come conferma l’avv. Antonio La Scala, esperto di Diritto penale militare e professore di Diritto penale, presso l’Università Jean Monnet di Bari: “Ai militari in servizio per ‘Strade Sicure’, essendo pubblici ufficiali, si applicheranno loro tutti i delitti, previsti nel Codice penale ordinario, che vedono gli stessi o autori o vittime di reato. Non solo, i militari sono disciplinati sia dal Codice penale militare di pace, limitatamente ai reati militari ivi indicati, ma anche sottoposti al Codice penale ordinario. Ad esempio ‘la violata consegna’ è solo nel Codice penale militare di pace, mentre ‘l'abuso d'ufficio’, reato tipico dei pubblici ufficiali e incaricati di pubblico servizio, è solo in quello ordinario”.
I militari in servizio per “Strade Sicure” sono sottoposti anche alle cosiddette “cause di giustificazione” previste dal Codice penale ordinario quali “la legittima difesa” (art. 52) o “l’uso legittimo delle armi” (art. 53) che è esclusivo dei pubblici ufficiali, i quali non sono punibili “se al fine di adempiere ad un dovere del proprio ufficio, fanno uso, ovvero ordinano di far uso delle armi o di altro strumento di coazione fisica, quando vi sono costretti dalla necessità di respingere una violenza o di vincere una resistenza all’Autorità (art 53 C.p.)”. Queste identiche previsioni sono anche assicurate dagli artt. 41 e 42 del Codice penale militare di pace. In questo caso, non si capisce la scelta dell’Esercito Italiano a non fornire ai propri uomini qualche paio di manette, che sono utilissime per respingere violenze e resistenze. Le manette, al contrario di quanto si pensa, non sono solo uno strumento per “limitare la libertà personale” derivante dall’arresto, ma un vero è proprio strumento d’autodifesa contro i violenti.
A proposito di arresto e di fermo di polizia giudiziaria, è pacifico che i militari in servizio per “Strade Sicure” non vi possano procedere, in quanto non hanno funzioni e poteri inerenti, ma è altresì vero che, ai sensi dell’articolo 383 del Codice di procedura penale (arresto da parte del privato), come confermato anche dall’avv. La Scala: “Se ricorre lo ‘stato di flagranza’ e se vi sono delitti perseguibili d'ufficio (per i quali gli agenti ed ufficiali di polizia giudiziaria procedono ad arresto obbligatorio), i militari, come chiunque altro, possono procedere all’arresto di una persona, consegnandola, immediatamente, insieme alle cose pertinenti il reato, alla Polizia giudiziaria”.
Profili migliorativi
Non conoscere il proprio status di pubblico ufficiale mette a rischio ogni singolo militare, il quale, ignora gli obblighi derivanti dalla sua posizione: “l’omessa o ritardata denuncia all’Autorità giudiziaria (di un reato procedibile d’ufficio), di cui il pubblico ufficiale abbia avuto notizia nell’esercizio o a causa delle sue funzioni, comporta una sanzione penale” - afferma il giudice del Tribunale di Napoli dott. Alberto Capuano.
Appare di certo più proficuo un miglior impegno dei militari, alla luce del loro status, che potrebbe spaziare alla prevenzione e in certi casi alla repressione di un numero maggiore di reati che andrebbero dalla contraffazione commerciale, ai furti sui bagagli dei passeggeri, allo spaccio di stupefacenti, alla lotta alla prostituzione minorile, reati molto presenti non solo nelle zone disagiate, ma praticamente in ogni grande stazione ferroviaria italiana.
Sarebbe ora di finirla con la storia del “non abbiamo i poteri”, i militari di “Strade Sicure” potrebbero fare di più, sono agenti di pubblica sicurezza e pubblici ufficiali, hanno tutto ciò che serve.
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