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Aprile - Maggio/2017 - Analisi
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A rischio la tutela del segreto investigativo
di Michele Turazza

E’ ormai risaputo che il potere politico abbia tutto l’interesse a ingerirsi negli affari di altri poteri, in particolare soprattutto in quello giudiziario. Fa parte della “natura delle cose” che coloro i quali, potenzialmente, potrebbero subire un controllo, non vedano di buon occhio il controllore. E di tentativi di limitare il raggio d’azione della magistratura, non solo requirente, ma anche giudicante, da vent’anni a questa parte, se ne sono visti parecchi. Il baluardo contro tali ingerenze è sempre stata la Costituzione e i delicati equilibri tra i poteri dello Stato che tratteggia e disciplina. Il noto sistema dei pesi e dei contrappesi.
Se i vari tentativi di modificare tale equilibri a livello costituzionale finora sono falliti, è sul livello della legislazione ordinaria che bisogna concentrare l’attenzione. Un articolo del decreto agostano di soppressione del Corpo Forestale prevede che per finalità di coordinamento informativo i vertici delle Forze di polizia debbano adottare apposite istruzioni per regolare i modi mediante i quali i responsabili di ciascun presidio di Polizia interessato trasmettono alla propria scala gerarchica le notizie relative all’inoltro delle informative di reato all’Autorità giudiziaria, indipendentemente dagli obblighi previsti dal Codice di procedura penale.
In pratica si prevede di estendere a tutte le Forze di polizia una simile disposizione, contenuta nel Regolamento sull’Ordinamento militare, e pertanto finora rivolta solo all’Arma dei Carabinieri.
E la tutela del segreto investigativo (art. 329 del Codice di procedura penale)? E l’art. 109 della Costituzione sulla disposizione diretta della Polizia giudiziaria da parte della magistratura?
Se si legge tra le righe della circolare applicativa del Capo della Polizia, inviata agli Uffici lo scorso ottobre, è percepibile la preoccupazione di fondo destata dalla nuova norma da applicare. Richiamando i principi di proporzionalità e leale collaborazione istituzionale “appare evidente – scrive il Prefetto Gabrielli – che le comunicazioni alla scala gerarchica dovranno essere circoscritte ai soli dati e notizie indispensabili a garantire un adeguato coordinamento informativo ai diversi livelli organizzativi della Forza di polizia”; in altre parole le notizie dovranno essere inviate “nello stretto limite in cui appaiano suscettibili di essere rilevanti per l’esercizio dell’attività di raccordo informativo di competenza del gradino superiore della scala gerarchica”.
Rincara la dose il Procuratore della Repubblica di Torino, Armando Spataro, che, paventando possibili rischi di compromissione del segreto investigativo ritiene “necessario evitare potenziali ragioni di criticità nelle indagini visto che, di solito, proprio nelle informative di reato – pur se non ancora conclusive – si compendiano e si illustrano i fatti accertati, di particolare riservatezza investigativa” rendendosi doveroso tutelare “anche nella fase successiva all’inoltro all’Autorità giudiziaria delle informative di reato, il valore della segretezza investigativa”. Per questi motivi – conclude Spataro nelle direttive diramate ai magistrati della Procura di Torino – dovendosi effettuare un bilanciamento tra “beni” potenzialmente in conflitto “non può in alcun modo prermettersi – prima dell’inoltro in questione – un controllo da parte del Pubblico ministero” poiché, pur non essendo espressamente previsto dalla nuova disposizione, essa “va coordinata con l’intero sistema, non potendo configurarsi quale monade normativa”.

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