Il Comitato di sicurezza finanziaria
ha classificato la minaccia
della criminalità finanziaria nel nostro
Paese come “molto significativa”
La Direzione investigativa Antimafia (Dia) non fa solo contrasto tout court alla criminalità organizzata ed indagini di polizia giudiziaria delegate, ma è molto impegnata anche nella prevenzione dei rischi d’infiltrazione delle consorterie criminali. Questo è uno degli aspetti sottolineati da Nunzio Antonio Ferla, direttore della Dia, nella sua audizione alla Commissione Finanze della Camera dei Deputati, il 20 settembre scorso, sul tema del riciclaggio nel settore finanziario. Ferla ha ricordato che il National Risk Assessment (l’analisi nazionale dei rischi di riciclaggio e finanziamento del terrorismo, condotta dal Comitato di Sicurezza finanziaria) ha classificato la minaccia della criminalità organizzata nel nostro Paese come «molto significativa» per la pervasiva presenza della criminalità e la diffusione di comportamenti illegali come l’evasione fiscale, la corruzione, il narcotraffico, l’usura e le varie tipologie di reati fallimentari e societari.
Per l’Istat, il volume d’affari delle attività criminali è pari a circa 15 miliardi di euro (un punto percentuale del nostro Pil). Secondo il capo della Dia, non è da sottovalutare l’impatto che la presenza criminale ha nel nostro Paese in termini di mancati investimenti da parte di soggetti esteri. Su Cosa nostra «registriamo il mantenimento di una reticolare presenza sul territorio che privilegia l’apporto di sommersione, l’apporto corruttivo e, ove possibile, vuole evitare lo scontro frontale», ha detto. La ’ndrangheta «ha una forte presenza e comporta un forte rischio in termini di infiltrazioni nell’economia legale». Considerando la camorra o la criminalità pugliese, «non ci troviamo di fronte a una strategia unitaria»; spesso si verificano ancora omicidi e scontri fra bande, «c’è un frequente turnover nelle alleanze e anche nella funzione di capoclan o capobanda». In queste diverse organizzazioni vi è il comune tentativo di esportare, anche al di fuori dei luoghi di elezione, il proprio “protocollo di infiltrazione mafiosa”, soprattutto nelle aree più “avanzate” del nostro Paese come la Liguria, l’Emilia Romagna, la Lombardia e il Veneto. Il numero uno della Dia ha precisato: «Quando operano al di fuori dei loro territori di elezione, queste organizzazioni normalmente fanno accordi e si ripartiscono gli ambiti».
Queste mafie hanno capacità di accumulare sia capitali finanziari sia “capitale sociale”, agganciando settori istituzionali e imprenditoriali. La Dia tenta di intercettare i flussi criminali sfruttando lo strumento dell’aggressione patrimoniale delle organizzazioni criminali. «Da gennaio 2015 ad agosto 2016 abbiamo presentato 144 proposte di misure di prevenzione: 91 erano a firma del direttore ed il 93% di esse ha superato il vaglio magistratuale». Nel medesimo periodo, la Dia ha effettuato sequestri preventivi per un valore superiore ai 2,9 miliardi di euro e confische di beni per oltre 1,3 miliardi di euro. Sul fronte della lotta al riciclaggio, ha ammonito: «L’eccessivo uso del contante è un elemento che certamente deve essere preso in considerazione perché, a mio avviso, pesa in termini di problematicità nell’azione antiriciclaggio». E ha spiegato: «L’individuazione coerente dei flussi finanziari ascrivibili alle consorterie mafiose non è sempre agevole: abbiamo infatti evidenze investigative dalle quali emerge che questi soggetti fanno spesso ricorso a prestanome, all’utilizzo di sistemi e schermi operativi opachi e alla continua commistione di profitti criminali con profitti legali; aspetti che creano molte difficoltà».
Secondo i dati dell’Unità di informazione finanziaria (Uif) della Banca d’Italia, nel 2016 risulta confermata una vecchia tendenza, quella dell’aumento delle segnalazioni di operazioni sospette. «Il 2015», ha detto, «è un anno un po’ particolare perché c’è stato il provvedimento di voluntary disclosure, quindi il numero delle segnalazioni è stato probabilmente condizionato da questa procedura». E ha proseguito: «Gli intermediari finanziari e, soprattutto, le banche sono i primi a fornire la loro collaborazione ma, se analizziamo il rapporto dell’Uif, notiamo che il principio della collaborazione attiva assume colorazioni diverse. Ci sono categorie, come i professionisti, che hanno aumentato il numero di segnalazioni; in realtà, però, analizzando il dato al netto delle segnalazioni connesse alle operazioni di voluntary disclosure, tale incremento si ridimensiona di molto». Nella distribuzione territoriale delle segnalazioni effettuate, tre regioni in Italia (Lombardia, Lazio e Campania), sommate, raggiungono il 40% del totale. Le segnalazioni sono aumentate in termini di qualità e di numero. «Nel 2015 abbiamo ricevuto all’incirca 85mila segnalazioni di operazioni sospette».
La Dia, tra gennaio 2015 e agosto 2016, ha trattato circa 145mila segnalazioni di operazioni sospette arrivate dall’Uif. Di queste, 1.737 sono state ritenute meritevoli di ulteriori approfondimenti e 923 sono state trasmesse alla Procura nazionale Antimafia e Antiterrorismo perché ritenute d’interesse investigativo. Nello stesso arco di tempo, nell’ambito dell’attività di investigazioni giudiziarie per la repressione di attività illecite in materia di riciclaggio, sono stati sequestrati dalla Dia beni per un valore di oltre 100 milioni di euro.
Foto: Il direttore della Dia, Nunzio Antonio Ferla
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