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Marzo/2017 - Articoli e Inchieste
Militarizzazioni
Ancora oggi non ho una sede di servizio né una scrivania...
di Lettera firmata

Caro Direttore,
tre mesi fa è finita la mia vita professionale.
Un pomeriggio di ordinaria attività di ufficio, leggendo un banale messaggino WhatsApp, ho scoperto di essere stata colpita 2 volte: dalla fine del Corpo Forestale dello Stato e dall’esclusione dal nuovo Comando Tutela dei Carabinieri nel quale il Corpo Forestale è confluito. Il messaggino conteneva il decreto con cui il Capo del Corpo Forestale indicava le oltre 7.000 unità che, senza alcuna istruttoria e a prescindere dal loro curriculum, erano stati ritenuti idonei a diventare carabinieri.
“Tu non ci sei!” sentii dire da un collega mentre scorrevo velocemente l’elenco in preda ad un’ansia crescente.
“Come non ci sono?” risposi con il cuore in tumulto. Come non ci sono? Continuavo a ripetere a me stessa. Sembrava impossibile. Doveva esserci uno sbaglio.
Poi il telefono prese a suonare. Cominciavano ad arrivare telefonate di curiosità, in qualche caso di solidarietà, ma sempre più somiglianti a telefonate di “cordoglio”. Il primo a chiamare fu un collega che espresse subito sollievo per essere scampato al mio destino. Quale destino? Ancora non capivo. Poi fu chiaro: se non ero destinata ai Carabinieri, ero destinata ai Vigili del Fuoco. Quello che non era chiaro era il motivo. Nei miei 30 anni di carriera mi ero occupata di incendi solo a margine della mia attività principale e istituzionale, e solo con collaborazioni saltuarie alla pubblicazione annuale sulla statistica del fuoco. Avevo scritto i commenti ai dati, scelto i colori e le fotografie, corretto le bozze. Ma questo non poteva fare di me una persona con una “competenza poliedrica e completa sulla lotta attiva agli incendi boschivi”, come richiedeva il decreto legislativo 177/16.
Possibile che la mia saltuaria attività di “scribacchina” fosse stata considerata più significativa rispetto a quella di Comandante provinciale, svolta per quasi 5 anni, di responsabile di un ufficio distrettuale, espletata per 6 anni e di capo Ufficio Biodiversità, durato per 3 anni, oltre i precedenti 19 in cui ero stata addetta nello stesso ufficio, occupandomi delle Riserve naturali, tutte competenze passate ai Carabinieri?
Sono stata deliberatamente esclusa dal nascente organismo nel quale sono invece confluiti i miei colleghi, i miei collaboratori, i miei superiori, tutte le persone con cui ho condiviso, tra i mille problemi, quello spirito di corpo e di appartenenza, l’unico che ha reso possibile continuare a cercare risposte e soluzioni alla complesse richieste che il nostro lavoro ci poneva di fronte ogni giorno. All’esclusione si è, quindi, accompagnato il senso di una evidente ingiustizia subita, di un trattamento discriminatorio. Cosa ci può essere di peggio che assistere alla fine del Corpo cui si appartiene, all’interno del quale si è modellata per decenni la propria identità professionale, che sentirsene cacciati proprio nel momento più triste e difficile della sua storia?
Ho cercato un interlocutore in grado di dare risposte alle mie domande: i colleghi dell’Ispettorato erano evasivi, quelli del territorio erano commiseranti e sollevati per non essere al mio posto, ma ben informati sulle penalizzazioni giuridiche ed economiche derivanti dall’uscita del Comparto Sicurezza. Ho cercato un incontro con il Capo del Corpo, ma non è stato concesso.
Ero stata condannata con una decisione unilaterale e definitiva, senza possibilità di appello, senza poter avere un chiarimento, una spiegazione. Del resto chi aveva, in precedenza, fatto richiesta di essere trasferito nei Vigili del Fuoco si è sentito rispondere che non era previsto esprimere una preferenza. Unica alternativa: il ricorso al Tar. Beffa del destino: un ricorso non contro la militarizzazione, ma contro l’esclusione dalla militarizzazione.
Ho cercato un incontro con i Vigili del Fuoco. La risposta è stata chiara: sede di lavoro prevista distante 2 ore da casa, senza alloggio di servizio. Sono rimasta a lavorare fino all’ultimo giorno di vita del Corpo Forestale, il 31 dicembre 2016, per chiudere, completare, accompagnare, per fare quello che ho ritenuto il mio dovere.
Ma la mia scelta, molto sofferta e dolorosa, l’avevo già fatta: domanda di pensione.
Dal primo aprile sarò in pensione, anticipata e penalizzante. Ma non ho visto altre alternative. Come devo sentirmi?
Sono stati giorni difficili, controversi, angoscianti in cui, pur continuando ad assolvere alle impellenti esigenze del lavoro di ufficio, ho vissuto il mio disagio personale sommato a quello delle tante persone pure “esodate” in Amministrazioni diverse dai Carabinieri. Non è questa la sede per contestare la legge dello Stato che ha previsto l’accorpamento del CFS nei Carabinieri, mi sembra tuttavia doveroso esprimere rammarico circa le modalità con cui tale accorpamento è avvenuto, evidenziando le mortificazioni e le ingiustizie subite dal personale. Persone che dopo decenni di attività esclusiva di polizia giudiziaria sono state ritenute idonee per diventare “pompieri” secondo criteri ridicoli e pretestuosi, quali la frequentazione di un corso di sole 16 ore.
Può un corso di 16 ore per Dos (Direttore delle operazioni di spegnimento incendi boschivi), la cui durata è stata nella realtà anche inferiore, definire l‘identità professionale di un individuo, a fronte di decenni in cui ha svolto attività di polizia giudiziaria sul territorio?
Può un corso di Ordine pubblico durato 15 giorni determinare il trasferimento del personale che lo ha frequentato, anche senza avere mai svolto servizi di Op, ai Reparti della Mobile della Polizia di Stato?
Può un direttivo specializzato in certificazioni Cites, materia complessa che richiede competenze specifiche, vedere azzerate di colpo la propria specialità ed essere trasferito ai Vigili del Fuoco solo per aver ricoperto sulla carta un incarico di capo Coab (Centro operativo Antincendi boschivo), quando è noto che i Coab sono strutture inesistenti, cui non competono da anni mezzi, soldi e personale?
Può un geometra che non ha mai indossato la divisa e portato un’arma essere ritenuto più idoneo di un operatore di Pg ai fini dell’assegnazione ai Carabinieri?
A fronte di circa 350 operatori diventati vigili del fuoco, ci sono infatti 800 tecnici e amministrativi diventati carabinieri, che indosseranno la divisa e saranno armati. Ho visto uomini di 50 anni non riuscire a trattenere le lacrime al momento della riconsegna dell’arma e del tesserino. E non solo per il dispiacere di non vestire più la divisa grigio-verde, ma anche per la preoccupazione di vedersi escludere da attività investigative in corso o, peggio, di sentirsi senza tutele in caso di testimonianze in procedimenti giudiziari rilevanti. Altri sono fortemente preoccupati per dover lasciare l’alloggio di servizio, dove vivono con le proprie famiglie, non avendone più diritto per l’uscita dal Comparto, o per dover affrontare il trasferimento in altra provincia o in altra regione. Altri ancora soffrono per essere stati esclusi dalla possibilità di condividere ed elaborare insieme ai loro colleghi un momento così difficile, come la fine dell’Amministrazione di appartenenza.
Dall’altro lato, nel Corpo nazionale dei Vigili del Fuoco, Amministrazione che ho imparato a conoscere e ad apprezzare in questi 2 mesi, ho trovato molta disponibilità e sensibilità, ho incontrato persone attente e comprensive nei confronti del malessere e del trauma che ciascuno di noi si porta dietro. E’ un grande Corpo, la cui operatività è di importanza fondamentale per la sicurezza e il soccorso nel nostro Paese, ma il mestiere che svolgono non è il mio.
Per cui il disagio permane, aggravato dal fatto che, a distanza di 2 mesi ancora non è stato emanato il decreto interministeriale di inquadramento del personale trasferito dall’ex Corpo Forestale dello Stato, per cui l’applicazione del d.l.vo 177/2016 non è stata ancora perfezionata.
Ancora oggi io, primo dirigente del defunto CFS, non ho una sede di servizio, non ho inquadramento giuridico ed economico, non ho una posizione che definisca i miei compiti, non ho nemmeno una scrivania. E’ il risultato di una riforma affrettata, pasticciata e frettolosa.
Non avrò nemmeno una pensione, almeno i primi mesi, non perché non ne abbia i requisiti, ma per ritardi nella trasmissione dei fascicoli relativi alla mia posizione assicurativa. Sì, per ritardi, perché forse la posizione di un dipendente “esodato” non è tra le priorità da evadere.
Ringrazio il direttore della rivista “Polizia e Democrazia” per l’invito a raccontare le esperienze personali in relazione all’accorpamento del Corpo Forestale dello Stato, anche perché di spazi fino a questo momento non ce ne sono stati concessi molti, se non presso gli avvocati e i social network.
Lo ringrazio perché questa opportunità è un aiuto concreto all’elaborazione di una esperienza ancora troppo viva e dolorosa per poterla accantonare, che la scelta del pensionamento anticipato, lungi dall’essere risolutoria, ha cercato solo di mitigare, considerato che, comunque, non si è trattato di una scelta libera. Il tempo forse potrà smorzare questo malessere, ma non potrà comunque annullare la sensazione di perdita e di disorientamento che la maggior parte di noi sta vivendo oggi, il dolore provato assistendo alla sostituzione delle insegne, delle targhe, delle divise, degli elementi identitari di quell’Amministrazione nella quale abbiamo creduto e nella quale ci siamo identificati.
Il Corpo Forestale non è stato solo un datore di lavoro ma il detentore dei valori e delle conoscenze che sono stati il fulcro e l’indirizzo dell’impegno quotidiano di ciascuno di noi. Per questo la sua soppressione fa male, perché i suoi valori sono dentro ciascun forestale.
Non si fa il forestale, si “è forestale”. E questa realtà nessuna legge potrà mai modificare.

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