Prosegue sui social la protesta degli ex forestali
contro la militarizzazione del Corpo in attesa
dell’esito dei ricorsi presentati ai Tar
Potrebbe sembrare una normale riorganizzazione di un’Amministrazione dello Stato. Ma non lo è. Il Corpo Forestale è stato soppresso, e le donne e gli uomini che vi lavoravano “assorbiti” in altre Amministrazioni, la maggior parte nell’Arma dei Carabinieri. E con loro sono stati cancellati quasi due secoli di storia.
E’ stato un decreto legislativo di attuazione della riforma della ministra Madia – già dichiarata incostituzionale in più parti – ad aver disposto, a partire dal primo gennaio di quest’anno, la soppressione dell’unica Forza di polizia per la tutela dell’ambiente e degli animali a ordinamento civile. Un colpo di spugna, una doccia fredda per migliaia di lavoratrici e lavoratori, sentinelle di boschi, monti e parchi del nostro Paese, che sono stati costretti a cambiare status, sperando di evitare il trasferimento a centinaia di chilometri di distanza dalle attuali sedi di lavoro. Sì, perché la militarizzazione porta anche questo: la precarizzazione delle vite. Sembra un paradosso: il lavoro rimane pur sempre a tempo indeterminato, ma nulla è più certo. La nuova Amministrazione militare (“i nuovi padroni”, come vengono definiti dai forestali) può disporre del proprio personale come meglio crede.
Il cambio di casacca è gravido di conseguenze anche sul piano dei diritti fondamentali della persona e in particolare di quelli sindacali, che vengono meno. Emblematica la copertura, con pannelli neri, di tutte le bacheche sindacali nella sede dell’Ispettorato generale di Roma, accompagnata dalla furia iconoclasta verso tutto ciò che rappresentava e ricordava il Corpo Forestale. Bandiere e insegne, rimosse. All’entrata principale, la foresta riprodotta sulla parete è stata sostituita dalla gigantografia della carica di Pastrengo: che cosa c’entri la storica battaglia con la tutela dell’ambiente e della biodiversità, non è del tutto chiaro. Su Facebook e su Youtube sono stati tolti i canali ufficiali del CFS. Nulla deve rimanere.
Fin da subito attivi nel denunciare quanto stava accadendo (la legge delega, nota come “legge Madia” è dell’estate 2015), i forestali si sono organizzati in gruppi sui social, tra l’indifferenza della stragrande maggioranza dei cittadini, della stampa e delle forze politiche (salvo pochi singoli parlamentari che hanno garantito il loro appoggio, tra cui Massimiliano Bernini). Se la partecipazione dei forestali, la loro esposizione e le battaglie sindacali sono state possibili, è stato anche grazie alle lotte e alle conquiste ottenute dai poliziotti-carbonari degli anni Settanta, che portarono all’approvazione della legge 121/1981. Più di trent’anni fa si smilitarizzava il Corpo delle Guardie di P. S.; oggi si mettono le stellette ai forestali. Venuti meno i sindacati e limitata la libertà di parola (con l’articolo 21 della Costituzione sbiadito dall’ordinamento militare), la loro protesta non può che continuare in rete. “Polizia e Democrazia” ha deciso di offrire loro alcune pagine, a partire da questo numero.
Uno dei blog più attivi, curati da un ex appartenente al CFS, è “Salviamo la Forestale”. Leggendo le testimonianze, è evidente come il cambio di divisa abbia rappresentato un duro colpo, aggravato dalla complicità e dal pieno supporto dei vertici del Corpo. Il senso di abbandono vissuto dai forestali è palpabile: “Mi sento oppressa… e certe imposizioni mi angosciano”; “…una parte di me è morta dentro… vai al lavoro con le gambe pesanti e la testa pesante perché sei sempre lì a pensare e a rimuginare dentro… noi abbiamo perso dignità e amore verso il lavoro stesso”. Lo smarrimento per la nuova identità imposta è evidente: “Con i nuovi alamari e distintivi non mi sono nemmeno guardato allo specchio”; “La mia compagna mi aveva chiesto di farmi una foto, le ho risposto: no grazie, questa non è la mia uniforme, la metto perché devo”; “Credo che il maggior vilipendio che si possa fare verso una divisa sia quello di imporre a delle persone di indossarla contro la propria volontà. Una divisa si sceglie, si ama e si onora”.
L’accorpamento ha forzosamente trasferito migliaia di persone (tra cui anche ruoli tecnici ed amministrativi) in un’Amministrazione completamente diversa, per finalità, storia e organizzazione: “A che serve avere 7.000 uomini in più nell’Arma che non si sentono parte dell’Istituzione? A nessuno”: faranno i carabinieri, sì, ma non lo saranno mai, perché “nelle vene scorre sangue forestale”. E’ come vivere la vita di qualcun altro, in un brutto film: “…sembra di essere in una sorta di sospensione vitale. Si galleggia restando in attesa della prossima stazione con scambi di binari, per riprendere quelli giusti”.
Qui di seguito, tre lettere di ex forestali inviate alla nostra rivista; rinnoviamo l’invito a scriverci, con testimonianze, lettere e riflessioni che saranno pubblicate sui prossimi numeri. (I brani virgolettati riportati qui sopra sono stati tratti dal blog: https://salviamolaforestale.wordpress.com. Si ringrazia Raffaele Seggioli per la disponibilità).
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