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Gennaio - Febbraio/2017 - Articoli e Inchieste
Criminalità
Intere aree d'Italia sfuggono al controllo dello Stato
di Leandro Abeille

I numeri: 453 agenti di Polizia ogni 100mila
abitanti non riescono ad avere ragione
dell’illegalità. E si finisce per invocare
l’Esercito


Ci sono zone di territorio italiano, alcune formate da interi quartieri, altre da poche centinaia di metri quadrati, che non sono più sotto il controllo dello Stato. In queste parti di territorio, i cittadini onesti sono abbandonati a se stessi e gli “altri” applicano la loro legge. In uno Stato civile questa situazione non sarebbe tollerata, eppure succede in Italia e alla luce del sole. Interi quartieri dove vige la consuetudine bengalese, la moda nigeriana o senegalese, la cucina mediorientale, la medicina cinese, la sharia pachistana, l’etica della banda sudamericana.
Come se non avessimo già i nostri problemi, con zone interamente gestite dalla camorra, dalla mafia e dalla ’ndrangheta che, lontano dal preoccuparsi delle differenze interculturali, spesso si servono della mafia nigeriana o di migliaia di spacciatori magrebini per i lavori più sporchi.

Dati impietosi
La cosa più allucinante in tutto il marasma che si sta creando è che non si riesce a capire come chi gestisce la politica sociale in Italia, compresi gli opinion leader da salotto, non si sia reso conto che in un Paese con l’11% di disoccupazione, a crescita zero, con un debito pubblico pauroso (e di conseguenza con poca possibilità di spendere per progetti sociali o per edilizia pubblica), con problemi gravi di infiltrazioni mafiose, quanto possa essere complessa (e onerosa) l’integrazione di culture diverse, portatrici di usi e costumi spesso dissonanti con i nostri e in più bisognose di assistenza.
Era chiaro dai primi anni ’90 che non tutti gli immigrati sarebbero riusciti a trovare un lavoro onesto e in quel periodo l’economia ancora tirava, ora in piena crescita zero, l’unica possibilità per molti è delinquere o frodare.
Delinquere nel senso di commettere reati gravi. Inutile dire che mediamente gli immigrati commettono più reati dei cittadini italiani: frodano, nel senso del vendere merce contraffatta, non pagano le tasse (ad esempio, da uno studio realizzato dal Centro Studi e Ricerche Sociologiche Antonella Di Benedetto di Krls Network of Business Ethics per conto di Contribuenti.it è evidenziato come l’Italia sia il paese dove i cinesi evadono di più rispetto al resto dell'Europa), aggirano i pagamenti che sarebbero dovuti allo Stato o alle aziende italiane.

Aziende furbette
Qualche associazione si premura di dire che gli immigrati producono Pil ed è vero, senza però specificare che molta di quella ricchezza esce dall’Italia attraverso i Money Transfer. Gli immigrati forniscono alle casse dello Stato, secondo alcune stime, 11 miliardi di contributi previdenziali e 7 miliardi di Irpef ogni anno, in compenso il costo degli stranieri, in termini di welfare e sicurezza, sarebbe intorno al 2% della spesa pubblica (spese per gestire l’immigrazione in arrivo escluse). Per cui incassiamo 18 miliardi e ne spendiamo 16 (cifre estrapolate dalle Elaborazioni Fondazione Leone Moressa su dati Istat). Non è razzismo, è matematica.
Opportunamente veicolata per fini politici arriva però l’intolleranza, quando si scopre che i negozi degli italiani chiudono e quelli degli stranieri aprono. Significativo il trend degli anni tra il 2011 e il 2015: mentre le imprese condotte da italiani sono diminuite del 2,6%, quelle degli immigrati hanno registrato un incremento del 21,3%” (dati Repubblica.it). Cercando di analizzarne le motivazioni si scopre che una gran parte di queste imprese sono “etniche” e vanno a soddisfare una esigenza solo straniera. Aprono in zone disagiate, abitate perlopiù da stranieri e usufruiscono delle agevolazioni fiscali di cui all’art. 14 della legge 266 del 1997.
Le zone disagiate, diventano un affare per alcunicittadini senza scrupoli, che affittano appartamenti dormitorio dove in 60mq ci vivono in 10. Zone in cui i negozi sono comprati in contanti, con soldi di cui non si conosce la provenienza e in cui i regolamenti di Polizia urbana iniziano a perdere senso.
Se in un negozio si vende di tutto, se è aperto 24 su 24, se inizia a invadere strada e marciapiede e nessuno riesce a farci nulla, l’illegalità prende piede. Nel 2015, in occasione della chiusura di un negozio di ortofrutta gestito da stranieri, il sindaco di Grosseto Emilio Bonifazi (centro sinistra) affermava: “La questione vera di tutta questa vicenda è data dal fatto che noi, come facciamo da anni, possiamo chiuderli innumerevoli volte e negargli ogni permesso a occupare suolo pubblico ma la situazione non si risolve. Molte sono le violazioni evidenti, andando dall’abusivismo, al mancato pagamento della Tosap, alla stessa assenza dell’autorizzazione a occupare suolo pubblico, fino ad arrivare alle segnalazioni di scarsa igiene, certificate insieme alla Asl. Solo nel 2014 siamo intervenuti a febbraio, ad aprile, a giugno e a ottobre. La Procura può disporre sequestri come fatto in passato ai punti vendita di via Giusti e dell’altro a via Emilia, che non ha più riaperto”.
“Queste persone – ha proseguito il sindaco – vendono prodotti scadenti e, purtroppo anche a causa della crisi, troppi cittadini sacrificano la propria sicurezza alimentare per il risparmio. Il fatto è che i gestori di queste attività hanno la possibilità di trovare locali in affitto, ottenere permessi di apertura, sfruttare altre persone che arrivano a dormire in quei negozi. Io credo che sia una situazione inaccettabile alla quale debba essere posta fine in maniera definitiva. Chiedo un intervento legislativo che mi consenta di chiudere definitivamente quelle attività gestite da persone che non intendano accettare l’esistenza delle regole di una comunità” (da il giunco.net).
In un certo senso il negozio gestito da stranieri fa sicuramente concorrenza sleale a quello gestito da italiani, se non altro perché in caso di violazioni delle norme, di regola, gli italiani hanno beni aggredibili e, generalmente, gli stranieri no.

Le soluzioni sbagliate
Nell’incapacità dello Stato a far fronte all’illegalità diffusa nasce la “banlieue”, che spesso è “periferia del centro città” come il quartiere Esquilino di Roma, che si sviluppa una zona franca dove i pochi cittadini rimasti si sentono prigionieri. Quando lo Stato rinuncia a se stesso o quando applica le leggi solo ad alcuni, nascono i fenomeni di intolleranza, come gli scontri di novembre scorso, tra italiani e stranieri, all’ex Villaggio Olimpico occupato abusivamente da immigrati irregolari.
A poco servono le azioni estemporanee di questa o quella Forza di polizia. Abbassati i riflettori i delinquenti, gli emarginati e gli imbroglioni ritornano. Sono tornati nel boschetto di Rogoredo, dove gli spacciatori hanno perso un paio di giorni di lavoro ma ora sono ancora a disposizione dei loro clienti.
A mali estremi, ovvero quando i politici si rendono conto che lo Stato non ha più il controllo del territorio, si invoca il rimedio estremo: l’Esercito.
E’ normale che i 453 agenti (delle varie Forze di polizia, escluse le varie Polizie locali) ogni 100mila abitanti, non riescano ad aver ragione dell’illegalità?
L’Esercito ha un senso se utilizzato a scopo antiterrorismo, nella protezione dei siti istituzionali e a rischio, ma non si può invocare – come ha fatto il sindaco di Milano Sala - per mantenere l’ordine pubblico o per reprimere i reati. Non si può perché i militari non hanno qualifiche di Polizia giudiziaria e soprattutto non hanno l’addestramento da “operatori del diritto penale”.
Invece di riorganizzare seriamente le Forze di polizia, di dotarle di mezzi idonei e di metterle su strada, si sceglie la via meno impegnativa.
L’impiego dell’Esercito è il placebo più semplice, i cittadini vedono ragazzi giovani in divisa nei luoghi più in vista e si sentono più sicuri. Chi delinque si sposta di qualche centinaio di metri ma non si ferma e tutti sono contenti. Ecco a voi la finta sicurezza: aumenta la tranquillità dei cittadini, non calano i reati, nessuno si fa male.
Costringere i negozianti imbroglioni a rispettare le regole, implicherebbe la chiusura di centinaia di esercizi commerciali con conseguente inasprimento delle lotte sociali.
Andare a sgomberare luoghi occupati, centrali di spaccio, porrebbe scontri, feriti e anche morti. Aumenterebbero le critiche di quelli per cui gli immigrati sono tutti bravi profughi che devono essere difesi e si spenderebbero miliardi per la riqualificazione dei quartieri degradati. Insomma, meglio l’illegalità del “casino”.

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