Riportare l’ordinamento militare agli anni Settanta, è questo il vero obiettivo dei vertici militari e dell’attuale maggioranza nascosto dietro la norma “spot” della specificità”. Già, la famigerata “specificità” un’espressione che racchiude in sé tutta una visione tradizionale e conservatrice dello strumento militare, fondata sulla certezza dell’esecuzione degli ordini, sull’assoluta e cieca obbedienza dei militari e sull’esclusione delle Forze Armate da ogni tipo di controllo democratico da parte del cittadino, che basa su tre fondamentali e necessari presupposti: i compiti di difesa o sicurezza esterna, da cui nasce la necessità di “coesione interna e massima operatività” delle amministrazioni militari; la comprensione dei diritti fondamentali dei lavoratori militari, necessarie per garantire la certezza dell’esecuzione degli ordini, la reattività e l’impermeabilità delle amministrazioni militari; i vantaggi economici e previdenziali riconosciuti al personale militare a compensazione delle limitazioni in termini di diritti fondamentali (libertà di espressione, di riunione, di associazione e finanche di ricorso alla giustizia amministrativa) necessarie per garantire le caratteristiche di “coesione interna e massima operatività” e la certezza dell’esecuzioni degli ordini.
Un tipo di ordinamento militare attuato nella maggior parte delle Forze Armate degli altri paesi occidentali e che, eccezion fatta per il punto 3, era già in essere nell’ordinamento italiano prima del 1981, e non solo nel settore difesa, ma anche in quello della sicurezza posto che anche tutte le forze di polizia erano assoggettate ad un ordinamento di questo tipo. Proprio tale situazione fu al centro di un vivace dibattito politico che portò alla riforma dell’ordinamento militare con una legge del 1978 ed alla smilitarizzazione della Polizia di Stato con la legge del 1981, sotto la spinta dei movimenti e di gran parte del mondo intellettuale.
Il processo di democratizzazione del settore militare è poi continuato negli anni ‘80 e ‘90, (anche e soprattutto a seguito di numerose sentenze della giustizia amministrativa) con la smilitarizzazione della Polizia Penitenziaria e del Corpo Forestale dello Stato e con l’estensione di molti di quei diritti ottenuti dai poliziotti civili attraverso la contrattazione (orario di servizio, congedi straordinari, ecc.) anche ai poliziotti militari e, quindi, anche alle Forze Armate vere e proprie. Un processo costante ed inesorabile che sembrava potesse preludere alla completa separazione dei comparti sicurezza e difesa, attraverso la smilitarizzazione di Guardia di Finanza ed Arma dei Carabinieri. Un finale scongiurato solo dalle resistenze dei vertici militari e, soprattutto, da due importanti pronunce della Corte Costituzionale sull’omogeneizzazione delle carriere e dei trattamenti economici tra poliziotti civili e militari e sentenza che, di fatto, ha negato i diritti sindacali ai militari, ed in particolare a carabinieri e finanzieri, proprio in dipendenza di quella “coesione interna e massima operatività” necessaria per adempiere ai compiti di difesa.
Risultato, un ordinamento militare frammentato, tanto indefinito quanto generalista da risultare troppo democratico e “civilizzato” per i compiti di difesa ed ancora troppo chiuso e “militarizzato” per i compiti di sicurezza interna affidati a Carabinieri e, soprattutto, alla Guardia di Finanza.
Tuttavia, un’applicazione che potremo definire “elastica” dello stesso ordinamento, ha permesso, sin ad oggi, di mantenere in un unico e disomogeneo comparto poliziotti e soldati, non senza rilevanti difficoltà testimoniate dall’enorme contenzioso in essere presso la giustizia amministrativa tra personale e le amministrazioni militari.
Oggi, il generale disinteresse del mondo accademico ed intellettuale, l’approdo a forza di governo del settore militare da parte di alcune forze politiche di convinta e storica matrice conservatrice, una generale tendenza alla limitazione dei diritti di tutti lavoratori, la professionalizzazione delle Forze Armate ed il loro sempre più frequente impiego in missioni internazionali, hanno comportato la repentina inversione di questo processo di democratizzazione. Dietro lo “specchietto per le allodole” della “specificità” e delle sottese promesse vantaggi economici e previdenziali si sta riportando il settore militare alla situazione degli anni ‘70 con i lavoratori militari ridotti alla condizione di fedeli e ciechi esecutori di ordini e le amministrazioni militari avulse dai principi democratici previsti dalla Costituzione.
Ora la domanda è: questo tipo di strategia può effettivamente portare beneficio alla difesa ed alla sicurezza del Paese?
Per quanto attiene al settore difesa e quindi alle tre Forze Armate cui è demandato esclusivamente tale compito, l’assoggettamento ad un ordinamento militare tradizionale potrebbe effettivamente portare giovamento, a patto che vengano effettivamente riconosciuti al personale militare vantaggi economici e previdenziali adeguati a compensare le pesanti limitazioni imposte in termini di diritti.
Per quanto attiene al settore sicurezza ed alle amministrazioni militari (Carabinieri e Guardia di Finanza) cui e demandato in via principale tale compito, l’assoggettamento ad un ordinamento militare rigido, avrebbe un impatto devastante, con ricadute negative sulla funzionalità e sull’efficienza delle stesse amministrazioni, in termini di: trasparenza: posto che l’ordinamento militare tradizionale imporrebbe un’estrema impermeabilità verso democratici strumenti di controllo da parte del cittadino, non giustificata dai compiti di sicurezza interna ad essa demandati; inadeguatezza del personale: visto che il profilo professionale ideale per i compiti di sicurezza interna, non è il reattivo e fedele “soldato-marine” ma il moderno poliziotto, soprattutto nel settore economico-finanziario, laddove oltre ai compiti di polizia giudiziaria pura si rende necessario saper leggere carte e documenti contabili e, nel contempo, avere la capacità del “verificatore fiscale” capace di cogliere nella contabilità: l’evasione, l’elusione, le truffe, il riciclaggio e tutti i crimini economico-finanziari; aumento-dei rischi di corruzione, deviazioni ed abusi: posto che amministrazioni che detengono il monopolio della forza e di informazioni particolarmente sensibili,sarebbero di fatto sotto il controllo di pochissime figure dirigenziali di nomina politica e, di fatto, prive di qualsiasi controllo o adeguati presidi democratici, sia interni che esterni.
Pertanto, la reintroduzione di un unico modello militare di tipo tradizionale per tutte le amministrazioni del comparto sicurezza e difesa, metterebbe a serio rischio la capacità operativa, la funzionalità e la trasparenza delle forze di polizia militari ed, in particolar modo, della Guardia di Finanza.
In quest’ottica, ci pare assolutamente necessario e si affronti seriamente il problema delle forze di polizia ad ordinamento militare.
Al contrario, la sensazione che si ricava leggendo i resoconti parlamentari e, più in generale, gli interventi della politica e del mondo intellettuale sull’argomento, è che questa problematica non venga adeguatamente considerata. Sembra quasi che ci si riferisca solo e soltanto le Forze Armate e le missioni internazionali, senza considerare che militari sono anche carabinieri e finanzieri che così rischiano di essere indirettamente e inopportunamente coinvolti.
Se queste sono le premesse, compreso tra quello tradizionalmente militare e quello civile-speciale delle Forze di Polizia civili, come peraltro già è stato fatto in Spagna per la Guardia Civil ed in Francia per la Gendarmerie.
Senza questa distinzione, c’è il serio rischio che la Guardia di Finanza, intrappolata in un ordinamento militare rigido ed inadeguato alla propria attività istituzionale, si consumi in un’inevitabile conflittualità interna, perda progressivamente di efficienza operativa ed intraprenda un lento cammino verso uno scioglimento senza gloria.
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