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ottobre-dicembre/2016 - Pubblicazioni
Pubblicazioni
A Gesuino Nemus la XVII edizione del Premio Fedeli
di Michele Turazza

La proclamazione del vincitore, al termine
del convegno “La garanzia delle libertà
fondamentali tra esigenze individuali
e collettive di sicurezza”


“Il capitano dei Carabinieri, Terrevazzi, che aveva scelto di lavorare in Sardegna, appena arrivato deve risolvere il caso di due cadaveri ritrovati a distanza di pochi giorni nell’Ogliastra. Si muove con l’aiuto del procuratore Nasturzio e di Gesuino, trovandosi ben presto invischiato in una storia che ha radici antiche e che vede molti protagonisti occulti (servizi segreti, sicari...). Molto originale la trovata dell’autore (Gesuino) che interviene direttamente per guidare il suo personaggio attraverso un libro autobiografico che gli fornisce una serie di spunti per risolvere il caso. Questo genera un caleidoscopico gioco di specchi che sfida l'intelligenza del lettore. Lo stile è vivace, arguto, piacevole. L'autore è straordinariamente efficace nel descrivere l’essenza della realtà sarda, utilizzando spesso la lingua locale (opportunamente tradotta!)”.
Con questa motivazione, la giuria della XVII edizione del Premio letterario “Franco Fedeli”, organizzata dal Siulp di Bologna e presieduta dal professor Giliberti, presidente della Scuola di Giurisprudenza dell’Università degli Studi di Urbino, ha premiato il romanzo di Gesuino Némus “I bambini sardi non piangono mai”, pubblicato per i tipi di Elliot (Roma 2016).
I tre autori finalisti – oltre a Némus, Lucarelli con “Il tempo delle Iene” (Einaudi) e Manzini con “7-7-2007” (Sellerio) – sono stati selezionati tra oltre venti volumi da una Commissione composta anche da appartenenti alle Forze dell’ordine.
La proclamazione del vincitore è avvenuta al termine del convegno tenutosi a Palazzo d’Accursio a Bologna il 7 novembre, dal titolo “La garanzia delle libertà fondamentali tra esigenze individuali e collettive di sicurezza”, organizzato dalla locale segreteria del Siulp, guidata da Amedeo Landino, col patrocinio del Comune e della Città Metropolitana di Bologna. Alla giornata di studio, valevole come aggiornamento professionale per gli operatori di Polizia, ha presenziato Simone Borrelli, autore, musicista, regista del film “Eddy”, che nel 2015 ha ottenuto il riconoscimento da parte del Consiglio d’Europa come “Official Human Rights Movie” e nel quale lo stesso Borrelli interpreta il protagonista, Rodrigo, giovane medico italiano che parte come volontario in un ospedale da campo della Siria.
Il convegno, moderato come di consueto dal giornalista Luca Boccaletti, è stato aperto dai saluti delle autorità: erano presenti l’Assessora comunale con delega alle “Pari opportunità e differenze di genere, diritti lgbt, contrasto alle discriminazioni, lotta alla violenza e alla tratta sulle donne e sui minori, diritti dei nuovi cittadini”, Susanna Zaccaria, il presidente dell’Associazione Nazionale Avvocati Italiani e il Questore di Bologna, Ignazio Coccia, che ha ricordato come il valore aggiunto del Premio Fedeli, pur essendo organizzato e voluto da un sindacato di Polizia, sia la sua apertura alla società civile e a tutta la collettività. Dopo gli interventi di Massimo Rubechi, docente di diritto costituzionale all’Università di Urbino – che ha messo in luce un delicato bilanciamento tra diritto alla sicurezza e altri diritti nelle pronunce giurisprudenziali delle Corti interne ed europee – dell’ex Ambasciatore italiano in Yemen e Arabia Saudita, Mario Boffo e di Alessandro Alberani della Cisl dell’area bolognese, il Procuratore aggiunto della Repubblica di Bologna, Valter Giovannini, ha sottolineato come il tema trattato, ossia quello dei diritti umani in relazione alle esigenze di sicurezza, “agiti sì il diritto ma soprattutto le coscienze individuali di ciascuno di noi. Parlando a titolo personale posso affermare che in tema di normativa sugli stranieri nel nostro ordinamento si sono susseguite fasi emergenziali e fasi di apertura. Le modifiche normative di questi anni sono state mosse dall’emergenza, mancando uno sguardo d’insieme a livello europeo che invece dovrebbe esserci. Qualsiasi cittadino straniero che arrivi in Italia deve poter essere identificato: poiché queste persone non hanno spesso documenti al seguito, l’unico modo per procedere all’identificazione rimane quello delle impronte papillari. Se il soggetto non le rilascia, commette il reato di immigrazione clandestina, un reato piccolo, di competenza del giudice di pace, che prevede una semplice sanzione pecuniaria, che mai viene pagata. L’identificazione è tra l’altro prevista come obbligo nel Trattato di Dublino, firmato dal nostro Paese, che impone di identificare chiunque entri in Italia”. Giovannini ha inoltre concluso sostenendo che sia necessario un “salto culturale dei magistrati sul piano della prevenzione e che tra i diritti fondamentali non possa non rientrare anche la sicurezza, altrimenti avremo solo l’insicurezza”.
Dopo il ricordo di Franco Fedeli, “giornalista che si era avvicinato al mondo della Polizia, aprendolo al mondo del sindacalismo, e facendo dialogare i due mondi in un periodo difficilissimo per il nostro Paese, gli anni del terrorismo” da parte di Luigi Savina, Vice Capo Vicario della Polizia di Stato, ha preso la parola il Segretario nazionale del Siulp, Felice Romano che si è interrogato sul senso del tema dell’incontro, i diritti umani nell’ambito del Premio letterario Franco Fedeli “che non debbono interessare soltanto il mondo accademico e politico. Sicurezza e libertà sono due facce della stessa medaglia, sebbene solo la libertà sia un valore assoluto. La sicurezza è uno strumento attraverso cui le democrazie consentono di fruire delle libertà; è un rapporto molto delicato e talvolta pericoloso, poiché garantire la sicurezza è semplice, basta negare i diritti di libertà e militarizzare il territorio. Perché dunque parlare di sicurezza e libertà? Siamo partiti dal lavoro che Franco Fedeli ha fatto con noi – ha spiegato Romano – che siamo i legittimi eredi di chi, in nome dello Stato, pur svolgendo una funzione vitale, non conosceva diritti. Sembra assurdo ma i poliziotti fino al 1981 non avevano diritti, nemmeno quelli di cittadinanza. Ad esempio a noi era vietato sposarci, perché la famiglia costituiva distrazione e dunque condizione non ideale per il lavoro. La sicurezza all’epoca era soltanto repressione e ordine pubblico: a reato consumato, a danno subìto, le Guardie di Pubblica Sicurezza intervenivano, constatando l’entità del danno e cercando di addivenire all’individuazione del colpevole. Non c’era controllo del territorio, né prevenzione. Il grande merito di Franco Fedeli, e per questo noi lo dobbiamo ricordare e ringraziare sempre, è stato comprendere il disagio degli operatori di Polizia, che non avevano libertà, la quale non era da intendersi come ribellione né messa in discussione del sistema! Il legislatore di quel tempo comprese questa necessità, in un momento particolarissimo del nostro Paese, che si trovava sotto assedio da parte di terrorismo e criminalità organizzata, aprendo al dialogo e garantendo il diritto al dissenso, ovviamente nel rispetto delle regole. La legge 121/1981 – ha concluso Romano – non è solamente la riforma dei poliziotti ma ha democratizzato la funzione di polizia, promuovendo una cultura della legalità, la formazione degli operatori, la diffusione di buone prassi e relegando l’ordine pubblico a una funzione residuale”.

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