Che qualcosa potesse accadere era già nell’aria, ma nessuno
si aspettava quello che poi è successo. L’acqua che occupa
le strade, che invade le case; la concitazione di quei momenti,
la solidarietà e la voglia di tornare presto alla normalità.
I ricordi dell’alluvione di Firenze del 4 novembre del 1966
nelle parole dei poliziotti intervenuti e delle loro famiglie
Il 3 novembre del 1966 le Forze dell’ordine erano già all’erta. Ma il sorvegliato speciale non era l’Arno.
I posti di blocco e le pattuglie erano tutti per un attentatore che, dall’Alto Adige, cercava di raggiungere la Capitale. Dopo i tralicci dell’alta tensione, le centrali elettriche e le stazioni ferroviarie, la parte più cruenta dell’irredentismo altoatesino voleva infatti colpire l’Italia in uno dei suoi simboli. Voleva mettere una bomba all’Altare della Patria.
Francesco Leonardi, classe 1939, poliziotto della Stradale, il pomeriggio di quel 3 novembre, si mise in auto con un collega (“il Salmeri”, come lo chiama lui) così da raggiungere il posto di blocco di Empoli e dare il cambio alla pattuglia che stava per finire il turno. Gli oltre 15 giorni di pioggia ininterrotta si fecero sentire anche su quella che era una delle più nuove Volanti a disposizione: “Far partire la macchina fu quasi un’impresa. Ci siamo riusciti a spinta – racconta Leonardi – e una volta partiti, avevamo una visibilità così ridotta che, in alcuni tratti dovevo tirar giù il finestrino per vedere la strada”.
Con la foto in tasca dell’attentatore e nelle orecchie le preoccupazioni dei contadini per il raccolto, le sei ore di turno scivolarono via come la pioggia che si attaccava alla divisa e proprio non ne voleva sapere di smettere di venir giù. “Aspettavo con ansia il cambio di mezzanotte perché il giorno dopo, alle 8, dovevo essere allo stand della Polizia per la Festa delle Forze Armate. A mezzanotte, dunque, lasciate le consegne ai colleghi montammo in auto per rientrare a Firenze. Appena giunti alla seconda galleria di Montelupo Fiorentino, ci siamo trovati davanti a un fiume d’acqua. Si doveva procedere lentamente, con molta cautela. Fatta un altro po’ di strada, arrivammo nell’abitato di Porto di Mezzo, e lì trovammo fortunatamente una situazione diversa, visto che in quel tratto l’Arno scorre più in alto rispetto al paese. C’erano già 20 centrimetri d’acqua, ma era quella che tornava su dai tombini che stavano cominciando a saltare. Chi aveva la casa al pian terreno, nel frattempo, stava cercando di proteggere l’uscio con delle tavole di legno o con del cemento. Non passava quasi nessuno, ma quei pochi autocarri che riuscivano a farlo, ogni volta creavano un’onda che spingeva l’acqua nelle case al pian terreno. Accendemmo allora la radio per avere notizie sulla situazione generale e quasi subito sentimmo che l’Arno aveva già straripato all’altezza di Incisa”.
Francesco e Salmeri decisero allora di salire sulla collinetta che costeggiava il paese per controllare il livello del fiume. Anche in quel punto l’Arno era in piena e sarebbe bastato davvero poco per vederlo uscire dal suo letto e riversarsi sul paese danneggiando non solo le abitazioni, ma anche i forni della ceramica e le attività manifatturiere della zona. I due decisero allora di andare a controllare anche il livello sul ponte di Signa: “Appena arrivati sul ponte, siamo rimasti a bocca aperta: la corrente trasportava alberi, arbusti e persino delle vacche morte. Anche una ruspa era stata trascinata via dal fiume e si era andata ad incastrare sotto un pilone del ponte stesso. Mentre eravamo lì, ci venne incontro un signore anziano agitatissimo perché una donna con il figlio piccolo e la madre anziana erano rimasti intrappolati in una casa già invasa dall’acqua. Da quel momento, abbiamo capito che ogni decisione e ogni nostro movimento sarebbero stati dettati dalle contingenze. Abbiamo caricato in macchina l’anziano e ci siamo fatti guidare fino alla casa delle due donne. Li abbiamo trovati tutti e tre sul tavolo. Le donne avevano provato a chiedere aiuto, ma nessuno le aveva sentite.
Presi i tre, li portammo prima a Porto di Mezzo e poi decidemmo di tornare verso Signa così da avvisare il casellante di deviare il traffico per Empoli.
Ma giunti a Lastra a Signa, ci siamo trovati davanti una situazione disastrosa. Abbiamo cominciato a fermare tutti. Trovammo all’ingresso del Comune anche il sindaco e abbiamo chiesto se non fosse il caso di passare lungo la strada statale 67, la vecchia strada che attraversava la via principale del paese, con le sirene spiegate per avvisare gli abitanti di quel che stava accadendo. Era notte e la piena rischiava di sorprendere gli abitanti nel sonno. Il sindaco approvò subito l’idea. ... [continua]
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