Se fosse un poster sarebbe il Cristo di Cimabue. Il poster simbolo delle opere d’arte di Firenze danneggiate, ricoperte di fango e salvate dalla furia dell’Arno: molte vennero messe al sicuro nei magazzini degli Uffizi, che pure erano stati allagati. I restauri, così come la ricostruzione, andarono avanti per anni e in molti casi a buon fine. Il Cristo, custodito a Santa Croce, è andato perduto all’80% e poi ricostruito con un lavoro certosino. Gravissimi i danni alla Biblioteca Nazionale Centrale: parte dei libri e dei manoscritti andò irrimediabilmente perduto o rovinato. La spinta dell’acqua aprì la Porta del Paradiso del Battistero con tale violenza da staccare quasi tutte le formelle del Ghiberti.
Proprio in seguito all’alluvione, i laboratori fiorentini dell’Opificio delle Pietre Dure raggiunsero un livello di eccellenza, con pochi eguali al mondo, nel campo del restauro. Gli interventi vennero basati sullo studio delle fonti scritte lasciate dagli artefici nel corso dei secoli. Per la conoscenza degli affreschi antichi e di altre tecniche divennero fondamentali ricettari come Teofilo monaco e trattati come il Libro dell’Arte di Cennino Cennini.
Da segnalare che l’Ultima Cena di Vasari è tornata a Santa Croce, per la prima volta da quel 4 novembre, proprio in occasione dei 50 anni dell’alluvione, alla presenza del presidente della Repubblica. Il suo recupero ha del miracoloso, perché era considerato pressoché impossibile: collocato nell’antico refettorio o Cenacolo, venne sommerso dall’acqua. Ora è tornato a casa e un sistema di contrappesi ne consente l’immediato sollevamento meccanico in caso di preallerta.
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