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ottobre-dicembre/2016 - Editoriale
Editoriale
Anche per la Polizia società violente e pensiero nonviolento
di Giancarla Codrignani

Mi è rimasta come ricordo positivo la legge 121 che smilitarizzava il Corpo delle Guardie di Pubblica Sicurezza e rendeva i poliziotti impiegati dello Stato finalmente “civili”, responsabili e sindacalizzati. Nel 1981 era ancora esemplare il simbolo del poliziotto britannico armato solo di fischietto e sfollagente, modello di una società che nessun Paese è stato capace di far evolvere. Infatti il tradizionale potere militare condizionava ancora così tanto un Presidente della Commissione Difesa che nelle audizioni dei Cocer dava la parola chiedendo chi era stato “autorizzato” a parlare, come se anche Montecitorio fosse sotto disciplina. Partecipavano anche i rappresentanti dell'Arma dei Carabinieri, interessati alle aspirazioni dei poliziotti ormai vicini alla smilitarizzazione; non si sarebbero mai fatti molte illusioni, soprattutto dopo il provvedimento del governo D'Alema che rese l'Arma “quarta componente” delle Forze Armate secondo la legge delega n. 78 del 2000.
Tuttavia dieci anni fa, nel 2007, gli Stati europei in possesso di Forze di polizia a ordinamento militare hanno adottato il semi-sconosciuto Trattato di Velsen – l'Italia ha ratificato nel 2010 - che comporta l'assorbimento nei Corpi di Polizia nazionali di ogni altra componente armata. La questione dei Carabinieri italiani è rimasta sospesa, mentre è stata recepita la partecipazione all'Egf (European globalisation adjustment fund), la Forza di polizia ad ordinamento militare europea in grado di intervenire in aree di crisi, sotto l’egida di Nato, Onu ed Ue. Una diversa militarizzazione in arrivo? I poliziotti non si stupirebbero, dopo le tante incursioni dei militari a turbare i loro diritti professionali.
Intanto i compiti dell'ordine pubblico sono più estesi e diversi: bisogna occuparsi perfino dei minori non accompagnati... Si deve fare sempre di meglio e di più...
Tuttavia si continua a sconfinare nell'ambito militare. Evidentemente non è stata ancora assorbita la cultura delle diverse funzioni e professionalità dei due difficili ambiti sociali che sono la Polizia e l'Esercito. I nostri giovani non hanno una grande formazione civica, vivono in società forse meno sicure e continuano a mantenere riserve nei confronti più della prima che del secondo. La fine della leva obbligatoria e la diversa qualità delle missioni moderne hanno rimosso la questione della guerra come violenza ufficiale degli Stati, mentre l'attenzione da prestare alla prevenzione e, poi, alla repressione della criminalità è rimasta inadeguata. Prima di pretendere (giustamente) la sicurezza, occorre capire che il malvivente è uno che, se vive male per colpa non solo sua, è più esposto ai rigori della legge dei “diversamente malviventi” che operano indisturbati al riparo delle convenzioni e denaro. Anche se si fosse così disperati da ritenere ineluttabile il male, la violenza non giova a nulla e a nessuno.
Ci sono stati episodi che hanno turbato l'opinione pubblica, dai fatti di Genova del 2001 ai casi Aldrovandi e Cucchi. Non c'è accanimento nei confronti di poliziotti e carabinieri se vengono chieste indagini per appurare le responsabilità quando accadono “incidenti” che non dovrebbero accadere. E' nello stesso interesse delle Forze dell'ordine che ci sia il massimo di trasparenza e di certezza.
Appare, per esempio, opportuna l'introduzione del reato di tortura nel nostro ordinamento: si tratta di un provvedimento atteso perché la ratifica italiana della Convenzione internazionale contro questa violazione dei diritti umani elementari non era stata seguita da legge applicativa, ritardo che ha prodotto la condanna del nostro Paese da parte della Corte europea di Strasburgo.
La normativa prevista urgentemente dal governo prevede pene per le Forze dell'ordine analoghe a quelle degli altri Paesi europei e tutele per le vittime; eppure è finita sulla dead line del Senato a causa di un suggerimento peggiorativo da parte del Ministro dell'Interno, secondo cui la pena per il reato di tortura andrebbe comminata solo se eventuali atti persecutori e violenze sono "reiterate". Se dovesse restare questa definizione non ci sarebbe una via di fuga per dei responsabili, bensì un danno di mancata trasparenza per la Polizia di Stato italiana.
D'altra parte, se tocchiamo un tema collegato, quello delle carceri, dobbiamo riconoscere che sono luoghi violenti e che dare sicurezza a cittadini costa fatica non solo fisica e mentale. Ma le carceri sono violente non perché ospitano dei malfattori ma perché sono sovraffollate e prive perfino dell'aria.
Anche quello della carcerazione è un problema che affonda le radici del suo fallimento nella difficoltà di far accettare alla comunità civile l'esistenza di una struttura difficilmente compatibile con gli intenti non punitivi della norma e con il rispetto di quei cittadini che, per essere reclusi, non cessano di mantenere la dignità umana. Se il cittadino libero mantiene una mentalità egoista e vendicativa, lo Stato non investirà nella giustizia, le giuste risorse e i Tribunali non potranno favorire il lavoro esterno, le pene alternative e le misure indulgenziali. Tanto più oggi che la situazione si è aggravata a causa dell'immigrazione.
Noi italiani abbiamo conosciuto un terrorismo di provenienza ideologica al quale la nostra democrazia ha pagato un prezzo altissimo. Oggi un altro terrorismo, non meno ideologico, ricatta l'Europa intera: la crescita dell'insicurezza in chi già subiva la crisi del 2008 ha finito per criminalizzare lo straniero, come se la globalizzazione che ha allargato la forbice tra chi ha e chi non ha non fosse la stessa che, in altra forma, ha prodotto molti movimenti migratori.
Si sono formate tensioni a minacciare la quotidianità della gente, che teme di perdere ogni sicurezza. Eppure, in nome della nonviolenza, una parola che ancor oggi sembra strana e che si definisce come una cultura realmente “difensiva”, esistono gruppi che, in sintonia con intellettuali, politici e chiese, hanno creato un link con personalità del Parlamento, del ministero dell’Interno e di rappresentanti della Polizia di Stato. Il risultato di incontri e convegni (ultimo, gli “Stati generali della difesa civile e nonviolenta” tenuti a Trento nel mese di novembre) comprende anche una proposta di legge per la formazione alla nonviolenza delle Forze dell'ordine. Tale proposta, tenendo conto che “le Forze dell'ordine svolgono una funzione decisiva di difesa della sicurezza pubblica, di tutela della legalità, di garanzia del rispetto dei diritti di tutte le persone (come prevede l'ordinamento vigente), valorizza una nuova formazione che permette di avvalersi delle grandi risorse della nonviolenza sul piano formativo, comunicativo, relazionale ed operativo”.
La democrazia è per definizione fragile e si incrina se viene maltrattata. Bastano la paura e l'ignoranza a produrre, già nel linguaggio, reazioni violente. Recuperare la “questione morale” resta ancora l'obiettivo principale della politica e dei partiti, ma anche delle famiglie, della scuola, del mondo del lavoro e perfino di Facebook, per affrontare costruttivamente le trasformazioni richieste dalla globalizzazione, oggi solo finanziaria e distruttiva, ma che dovrà trasformarsi in cultura e mettere al centro il benessere umano. Se però la Polonia rifiuta l'accoglienza dei rifugiati anche se ha ricevuto 80 miliardi di aiuti dall'Europa; se l'islamico non può pregare in un luogo da chiamare moschea e viene confuso con il terrorista; se il linguaggio dei nostri figli è quello dei peggiori Facebook e non abbiamo nulla da dire, non solo fallisce la nonviolenza, ma la violenza si prepara a peggiori escalation.
La filosofia della nonviolenza viene attribuita a Tolstoj e a Gandhi, autori di pratiche di “non resistenza” davanti a poteri forti che non volevano rispettare l'uguaglianza dell'unica razza umana. In realtà l'uso attuale del termine risale all'esperienza della seconda guerra mondiale, quando si alzò il grido – ahimè spesso ripetuto invano - “mai più” contro le guerre, un invito a dare anima a pacifiche trasformazioni di sistema per non continuare un cammino disastroso.
Negli Stati Uniti dopo l'elezione di Trump The Shalom Report ha analizzato la crisi rifluita nella coscienza degli americani ormai divisi tra trionfanti e indignati e ha invitato a non soffocare i semi di una nuova, non rinviabile società e a recuperare creatività positiva per sfidare istituzioni che possono essere prevaricanti e distruttive. E ha riproposto Luther King come esempio ancora valido. Infatti, sostiene il report, in tutte le società ci sono persone - i nuovi marginali, gli immigrati, i neri, gli islamici, le femministe, le persone Lgbt - che hanno paura, perdono speranza, cedono alla rabbia e per questo tentano soluzioni che vanno contro i loro stessi interessi. Tutto ciò innesca processi di violenza pericolosi: come non si userà la forza se si avranno reazioni per non perdere la sopravvivenza dignitosa dei più poveri? Anche se potranno mettere a rischio la democrazia, dopo aver certamente offeso i diritti umani?
Si ricade inevitabilmente a ragionare di pace e di conflitti.
L'ambito della Difesa è fondamentale per l'altra sicurezza e la nonviolenza si propone come elemento fondamentale per una politica della pace rispettosa della Costituzione che “ripudia la guerra”. Bisognerà metterla in agenda dal momento che i Paesi europei che gravitano nell'area mediterranea e mediorientale si “riarmano” preventivamente e anche la ministra Pinotti ha sottoposto al Parlamento un incremento delle spese militari dell'8,3 % rispetto al 2015.
Non è solo l'opportunismo cinico della produzione bellica che “tira” il mercato e non ha mai cassa integrazione (e tutti i Paesi europei producono e vendono a tutti materiali di morte che in passato già gli sono stati restituiti come boomerang): il non aver risolto dal 1947 la questione israelo/palestinese e la crescita di interferenze disastrose nei Paesi mediorientali proiettati nella globalizzazione senza aver risolto gradualmente passaggi di sviluppo che obbligano alla messa in questione della loro storia e delle loro credenze ha pericolosamente nevrotizzato la stabilità di un'area che è tutt'uno con l'Europa.
Il Papa l'ha definita una terza guerra mondiale scorporata. Abbiamo ancora l'opportunità di riflettere sulla stoltezza di giocare con le prove di forza e vincere (ma che cosa mai si vince?!).
Certo che un'iniezione di nonviolenza nella lotta contro le violenze sarà un bel vedere... magari incominciando da chi comanda.

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