Mentre l’ennesimo attacco terroristico avvenuto in Francia, dove con un atto vile e barbarico sono state spezzate decine e decine di vite umane, ci dimostra quanto sia necessario che l’Europa ponga immediatamente rimedio al deficit di cooperazione tra le Forze di polizia e quelle di intelligence, per dispiegare un’azione umanitaria forte e immediata per contrastare la violenza dell’azione terroristica che oggi pervade le nostre società, in Italia si discute di una legge sulla tortura che, anziché essere un’evoluzione giuridica del nostro ordinamento, di fatto per volontà di pochi si sta trasformando in una norma che impedirà a tutti gli operatori delle Forze di polizia di intevenire a difesa della sicurezza dei cittadini e delle stesse Istituzioni democratiche.
Alla Francia e a tutti i familiari delle vittime dell’ennesimo atto di barbarie, perpetrato dalla follia terrorista, va la nostra sentita e convinta vicinanza e solidarietà.
Al governo italiano e al ministro dell’Interno Alfano, invece, va il nostro appello affinché gli operatori delle Forze di polizia italiane non si sentano con le mani legate dalla norma sul reato di tortura che, dopo le modifiche apportate in Senato, con la cancellazione del dolo specifico da accertare attraverso le reiterate azioni di violenza perpetrate, se approvato definiticamente così come modificato, metterà tutti gli operatori di Polizia in stato di soggezione, sino al punto di costringerli a scegliere tra il male minore che sarà quello di non intervenire.
La necessità di prevedere con una norma, pene severe nei confronti di chi, con reiterate violenze fatte in danno di persone, potessero rispondere del reato di tortura, era stata contemperata nel testo concordato alla Camera, e sul quale il ministro Alfano aveva dato la sua personale assicurazione che quel testo fosse un principio di avanzamento giuridico del nostro ordinamento e non una volontà di mettere i poliziotti in soggezione esponendoli, peraltro, a rischi elevatissimi di gravissime pene per aver adempiuto ad un loro dovere.
Del resto il nostro odinamento prevede già fattispecie di reato che hanno consentito, di fronte a noti casi assurti alla cronaca, di effettuare le indagini che hanno identificato gli autori che, oltre alla condanna penale, sono stati anche allontanati dai Corpi ai quali appartenevano.
Per questo, dopo che la maggioranza ha cosentito la modifica del disegno di legge al Senato nel senso peggiorativo e aggressivo nei confronti degli operatori di Polizia, faccio appello al governo e al ministro Alfano affinché intervengano e ripristinino la previsione di “reiterate condotte” prima che non si verifichi che, chi deve applicare la legge preferisca, suo malgrado e a scapito della sicurezza dei cittadini, rispondere di omissione di atti di ufficio piuttosto che dell’onta del reato di tortura.
L’introduzione del reato di tortura come elemento di emancipazione del nostro ordinamento giuridico non può rappresentare, neanche lontanamente, l’occazione per creare equivoci o fraintendimenti riguardo l’obbligo per gli operatori di Polizia di utilizzare la forza per contrastare la violenza nel pieno adempimento del loro dovere.
Per questo diciamo bene all’iniziativa del ministro Alfano e del governo nel richiedere una rivisitazione alla Camera, al fine di prevedere le circostanze, come la reiterazione delle azioni di violenza che, pur garantendo la certezza di colpire chi tortura le persone di cui ha la custodia o la responsabilità usando reiteratamente la forza e la violenza, di fatto però salvaguarda chi la forza è chiamato ad usarla legittimamente per arrestare la violenza. E’ questa la risposta giusta per la sicurezza dei cittadini e degli stessi operatori di Polizia.
Questo discrimine, considerato il rischio di dilatazioni interpretative che si potrebbero registrare in sede applicativa, è indispensabile per garantire alle donne e agli uomini in divisa, di poter continuare a svolgere tranquillamente il proprio lavoro, per contrastare il terrorismo e le azioni di violenza cieca, come quelle sinora registrate nei Paesi vicini, come la Francia e il Belgio, e per evitare che la soggezione psicologica possa compromettere l’operatività dei servizi indispensabili ad evitare che anche in Italia si possano concretizzare tragedie come quelle avvenute a Nizza.
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