Secondo il Procuratore nazionale Antimafia e Antiterrorismo,
Franco Roberti: “Siamo di fronte alla prima sfida mondiale dell'Is
che combatte non inviando propri emissari in giro per il mondo,
come è successo a Parigi, ma sfruttando le conflittualità interne”
Sono passati quindici anni dagli attacchi alle Torri Gemelle. Quindici anni in cui l’Occidente ha imparato ad aver paura in casa propria. Una paura non sempre generata dallo Stato islamico, ma di cui l’Isis cerca di attribuirsene sempre la paternità, perché la comunicazione, la propaganda, sono fra le colonne portanti della strategia del terrore che sta mettendo in atto.
Così le esplosioni avvenute a New York la sera del 17 settembre sanno di terrorismo prima ancora di conoscerne l’origine, prima ancora che venga fatta chiarezza. E prima di New York ci sono state Bruxelles, la Francia e ancora il Bangladesh con la strage di Dacca.
Obiettivi che cambiano, che diventano sempre meno prevedibili.
“I fatti terribili di Dacca - ha detto il ministro degli Esteri Paolo Gentiloni - hanno aiutato tutti noi a capire la dimensione della minaccia terroristica. Il Bangladesh non era al centro delle nostre preoccupazione ma ciò che è accaduto lì ci ha messo davanti agli occhi una realtà che dovremmo avere molto chiara: la minaccia terroristica si estende oggi dal Golfo di Guinea al Golfo del Bengala, è un'estensione immensa che attraversa tre Continenti, Europa, Africa e Asia, e al centro di questo arco della crisi c’è il Mediterraneo”.
A Dacca, il primo luglio, sono morte 24 persone. Nove di loro erano italiani. Quella sera, nel ristorante Holey Artisan Bakery situato nel quartiere diplomatico di Gulshan, non distante dalla nostra ambasciata, cinque terroristi sono entrati nel locale aprendo il fuoco e facendo esplodere alcune bombe prima di prendere in ostaggio molti dei presenti, in maggior parte stranieri. Per selezionare gli ostaggi i terroristi hanno usato un metodo semplice: chi sapeva recitare brani del Corano era salvo; chi non era in grado di farlo è stato torturato e ucciso.
A Nizza, invece, la sera del 14 luglio, un camion bianco, all’improvviso, è riuscito a entrare sul lungomare Promenade des Anglais e a correre per quasi due chilometri fra la gente, uccidendo 84 persone e ferendone 250. A nulla sono serviti i tentativi per fermarlo. Un uomo ha provato ad affiancarlo con una moto, ma Mohamed Lahouiej Bouhlel è riuscito ad ucciderlo, sparandogli, senza perdere il controllo del mezzo che guidava. È apparso subito evidente che non era un caso: Lahaouiej Bouhlel, franco-tunisino, era lì col suo camion per uccidere.
All’inizio il governo francese, forse per giustificare una falla nel proprio sistema di sicurezza, ha parlato dell’azione di uno squilibrato. E Bouhlel, fra l’altro, lo era. Ma sarebbe bastato pensare al suo modo di guidare, a quel suo avanzare zigzagando fra la folla e con un mezzo non proprio agile per capire che era addestrato a farlo. Perché quel modo di procedere è una tecnica antisommossa. ... [continua]
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