L'uomo nero è un'invenzione delle favole, l'orco è stato
sdoganato dal buon Shreck e dai dati sulle violenze
contro i minori. Attenzione genitori, il pericolo
per i vostri figli, vive già nelle vostre case
I bambini sono l'essenza della vita che fa di un uomo e di una donna una vera famiglia. Non esiste felicità maggiore di prenderli in braccio, metterli a letto addormentati, insegnar loro le prime parole, vederli crescere, qualche grammo di più, ogni giorno. Perfino cambiare gli "orrendi pannolini" è vissuta, a volte, come una bella esperienza.
I bambini sono la cosa più pura che ancora si trova in questo sporco pianeta, senza colpe, senza peccati, sono un miracolo anche quando spargono di costruzioni tutto il pavimento della stanza. Per cui, quando parliamo di bambini, al giorno d'oggi, si intersecano una serie di strutturazioni mentali che ci portano, in primis, a proteggerli. E’ così forte il nostro desiderio di protezione che, a volte, non riusciamo neanche a ragionare e dove il pericolo non c'è, lo inventiamo.
Le favole sull’“uomo nero” (per nero non s’intende il colore della pelle ma l’uomo completamente oscuro e lo preferisco al termine “orco”, ormai sdoganato da Shreck) che ruba i bambini non moriranno mai e spesso, la prima manifestazione del nostro amore è di ricordare ai nostri figli di stare attenti a qualcosa. Non c’è “uomo nero” a cui si deve stare più attenti del pedofilo.
L’uomo nero
A livello internazionale, gli studiosi sono divisi sul fatto se la pedofilia (in questo articolo si generalizza il termine con chi consuma, o vorrebbe consumare, rapporti sessuali con infradiciotteni) sia una “parafilia”, una devianza, o un orientamento sessuale. Non è cosa di poco conto, perché un orientamento sessuale è un fatto immutabile non proveniente da un disturbo di tipo psichico, mentre una parafilia è una devianza di tipo psichico riconosciuta dalla comunità scientifica. La sostanza della diversità di definizioni sta nel fatto che, se la pedofilia fosse una malattia, sarebbe incompatibile con il regime carcerario ordinario e andrebbe trattata dagli psichiatri in istituti ad hoc; se invece fosse un orientamento sessuale, non potrebbe essere trattato con cure psichiatriche (e men che meno psicologiche) ma sarebbe compatibile con il carcere. Se la pedofilia fosse meramente una "parafilia", quanto possa essere curata, è un grande punto interrogativo. Allo stato, le guarigioni vere, intese come assenza di comportamenti recidivi nel periodo medio-lungo, sono vicine allo zero. Chi dice il contrario non sempre è in buona fede. C’è da ricordare che in passato l’omosessualità veniva considerata come parafilia e solo negli ultimi 40 anni un “normale” orientamento sessuale.
In Italia consideriamo la “pedofilia” una malattia agita con una lucida condotta criminale che non implica una de-responsabilizzazione penale e perciò la puniamo con il carcere, senza però assicurarci dell'effettiva guarigione del reo e, con la rimessa in libertà, non ci occupiamo di prevenire i comportamenti recidivi, con le conseguenti polemiche che ne derivano ogni volta che un molestatore di minori viene ri-arrestato. In pratica consideriamo i pedofili come persone malate, difficilmente guaribili, ma da tenere in carcere per un periodo di tempo. Poi ce ne dimentichiamo, abbandonandoli alle loro pulsioni e al ricordo delle botte ricevute in carcere. Non è né giusto, né umano. I pedofili, al di là delle considerazioni morali, in entrambi i casi (orientamento sessuale o parafilia) sono soggetti alle loro pulsioni verso i bambini. Dovrebbero essere messi in condizione di non nuocere i bambini e non, come vorrebbero molti, messi a morte o castrati. Soprattutto perché la castrazione spesso non annulla le pulsioni sessuali.
Lo stereotipo del pedofilo, uomo di mezza età, single, lascivo, che attira i bambini con caramelle e giocattoli è poco reale. E' ragionevole pensare che i pedofili siano trasversali alla popolazione, essenzialmente di due tipi: quelli che agiscono il comportamento (i molestatori) e coloro i quali, non lo mettono in pratica, anche se, spesso, sono consumatori di materiale pedopornografico e di conseguenza perseguiti dalla Polizia Postale, in operazioni telematiche quotidiane.
Tra i molestatori ci sono quelli che provano un originale trasporto sessuale verso i bambini, i quali, ai loro occhi risultano di un terzo sesso (né maschi, nè femmine ma solo bambini o efebi) e quelli che ricercano solo facile eccitamento ed un conseguente facile godimento (con un giovane uomo o donna). Da questo assioma sembra banale ma necessario, sostenere, allora, che la società debba essere protetta dai primi, magari confinandoli in strutture psichiatriche, mentre i secondi non sarebbero affatto incompatibili con il carcere.
Per quanto riguarda i non molestatori, seppur consumatori di materiale video pedo-pornografico, non riesco a capire come il carcere possa essere risolutivo di una condizione patologica: una volta scontata la pena, torneranno a cercare immagini di bambini in rete.
Il comportamento dei molestatori di bambini, al di là, delle categorizzazioni statunitensi, seriamente poco applicabili in Italia, sembra di due tipi: c’è il pedofilo coinvolgente, bravissimo con i bambini, uno di cui i genitori si fidano e conquista i minori con il suo modo di fare e quello che usa la vicinanza al bambino per sfruttarne le debolezze ed è più spesso qualcuno della cerchia familiare. Entrambi i tipi possono usare il ricatto per ottenere il silenzio.
Ci sarebbe anche un terzo tipo, che è quello “mordi e fuggi”, il pervertito delle “tastatine” sui mezzi pubblici, purtroppo poco punito dal sistema penale perché poco denunciato, ma piuttosto presente nelle nostre realtà: questi soggetti non molestano solo bambini ma anche le donne e cercano solo facile eccitamento.
Abbiamo poi un problema che ancora viene poco indagato e cioè tutto lo sdegno che si veicola all'interno dell'opinione pubblica quando si paventa il pericolo “pedofilia”. Al semplice sospetto, il presunto reo è già condannato in via definitiva. Sono molti i casi in cui "la setta" di pedofili viene scoperta e poi scagionata in tutti i gradi di giudizio, accusata e perseguitata da genitori esageratamente allarmati anche grazie a qualche associazione per i diritti dei bambini particolarmente giustizialista. Quando poi le audizioni protette, sono "teleguidate", le cose si mettono ancora peggio. Ci sono i casi di "mostri" sbattuti in prima pagina, accusati di ogni nefandezza, magari condannati fino a sentenza definitiva e poi scagionati dagli stessi accusatori una volta diventati grandi. Mostri condannati all'infamia perenne per la vendetta di "ragazzini" o non per agiti pedofili. Al contempo esistono veri pedofili, difesi, a spada tratta, dalla loro comunità che trasforma la vittima in un infame accusatore. Spesso casi veri e propri di pedofilia non vengono alla luce perché protetti dalla comunità dove il fatto è avvenuto.
Quando il caso diventa eclatante e si parla di pedofilia, i commenti delle persone (per strada o sui social) si riducono alle varie castrazioni, al carcere a vita, alla tortura, fino alla pena di morte. Tutti vogliono uccidere il Frankestein di turno e con forconi e torce lo cercano negli angoli bui delle città. Siamo così abituati a tentare di colpire questi "mostri" da non capire la più semplice delle cose: gli "uomini neri" (statisticamente) non esistono. Gli “uomini neri” vivono nell’inconscio dei componenti della cerchia familiare. Infatti, dalle operazioni compiute dalle Forze di polizia (che risentono in negativo dei reati mai denunciati, ma non dei "falsi positivi" delle Associazioni) si evince una semplice certezza: il pedofilo è quasi sempre in casa.
La violenza sessuale su minori (la pedofilia agita) è un reato quasi esclusivamente al maschile e per due motivi: il primo è che viene compiuto realmente di più dagli uomini ed il secondo perché quando viene compiuto dalle donne viene scarsamente denunciato dai minori maschi. E’ un fatto culturale: se un uomo ha un rapporto sessuale con una sedicenne è un violentatore, se una donna fa la stessa cosa è una “nave scuola”, una cougar, una iniziatrice. Sono pochi i genitori (soprattutto i papà) che denuncerebbero una donna quarantenne per aver fatto sesso col figlio sedicenne; è un retaggio culturale duro a morire. Almeno in Italia.
A compiere violenze sui bambini sono più probabilisticamente (in ordine decrescente): compagni/fidanzati/mariti (della madre), parenti (padri, nonni, zii), "amiconi" di famiglia, educatori/insegnanti e preti (ancora tutte quelle professioni più a contatto con i bambini). I sacerdoti non sono affatto statisticamente più pedofili degli altri, ma mediaticamente lo sembrano.
Le vittime più probabili sono quelle dai 12 fino ai 16 anni, anche perché questa fascia d'età risente delle tante violenze perpetrate dai quasi coetanei e da quelle non a sfondo pedofilo, nel senso che chi usa questa violenza, vuole un rapporto sessuale con una donna (o quasi). Dal punto di vista delle concause questa fascia d'età è più vulnerabile per via della maggiore mobilità (mezzi di trasporto, permessi di uscire di casa per le commissioni) e vita sociale, dall'accesso ai social network, strumenti di comunicazione (telefonini, smartphone) e consumo di alcol e droga. Sono altresì a rischio per il fatto che le adolescenti dai 15-16 assomigliano a giovani donne anche per i genitori, i quali accettano, di buon grado il “fidanzato” più grande, lo accettano ancora meglio se quest’ultimo è facoltoso.
Una categoria molto a rischio e poco considerata dalle statistiche sono i minorenni con problemi psichici che in una modesta percentuale di casi riesce a denunciare le molestie e ancora di meno ad arrivare a processo e condanna.
Da zero a dodici anni i bambini subiscono violenze sessuali, ma in maniera minore della fascia successiva e, purtroppo, i fatti-reato si scoprono più difficilmente. Statisticamente questa fascia d’età subisce più violenze fisiche che sessuali.
Cosa fare
Nell'incertezza legata al tipo di trattamento da riservare ai pedofili, la cosa migliore da fare sarebbe invertire le esigenze, non tanto di non avere più molestatori, perché tutti curati, "castrati", uccisi, mandati all'ergastolo, ma di non avere più vittime: questo dovrebbe essere l'obiettivo primario.
Iniziamo col dire che il pedofilo ha più probabilità di essere già dentro casa, che non fuori, per cui dovremmo rielaborare tutti i consigli utili anti "orchi" che si trovano in giro.
Spieghiamo ai nostri bambini che tutti i contatti volontari, in alcune zone del corpo e con alcune parti del corpo, tra un adulto e un bambino sono off limits e devono essere immediatamente riferiti ad un genitore. Per "tutti" s’intedono sia quelli che provocano ansia o malessere ma anche quelli piacevoli. Se il genitore non gli da importanza, vanno riferiti al pediatra, all'insegnante, ad un "telefono amico" o al poliziotto. Ma siccome il bambino difficilmente lo farebbe spontaneamente, dovrebbe essere educato a comunicare situazioni a rischio.
Ovviamente nella prevenzione il genitore gioca un ruolo di primo piano ma sembra che sia più facile promettere sciagure agli "uomini neri" che non ascoltare i propri figli, garantendo loro un rapporto basato sulla fiducia. Troppi sono stati i casi in cui la mamma giurava castrazioni e pene di morte ai pedofili mentre il suo compagno (non il padre dei bambini) abusava dei suoi figli.
I genitori, ma soprattutto le mamme (quelle statisticamente meno a rischio di commettere reati sessuali su minori), hanno il grande compito di non abbandonare i propri figli, davanti alla tv come davanti allo schermo di un computer. Abbandono vuol dire solitudine e questa è una grande leva su cui si insinua il "mostro". Percepire i cambiamenti d'umore e di comportamento senza giustificare tutto con la "crescita", l'"età critica" o altre scuse inconsistenti, ma provando empatia e partecipazione alla vita della propria prole. L'assioma è che, genitori attenti ma non paranoici, formano bambini attenti (e non paranoici) al mondo che li circonda.
Attenzione vuol dire responsabilità che presuppone conoscenza di sé e del proprio corpo ma anche dei pericoli a cui i bambini possono andare incontro, iniziando dai pericoli in rete.
Attenzione presuppone tempo, da spendere con i propri figli a navigare sul web, spiegando cosa fare e cosa non fare, la generazione digitale fa miracoli con gli strumenti elettronici ma rimane una generazione di giovanissimi inconsci dei pericoli delle loro azioni avventate. Non si forniscono notizie personali, indirizzi, non si spediscono foto né per costrizione, né per regali a nessuno conosciuto su Internet. Un’attenzione che dovrebbero utilizzare anche i genitori che troppo spesso pubblicano foto dei figli anche molto piccoli sui social.
Attenzione è quell’attività di supervisione dei propri figli quando vestono abiti che i genitori non hanno acquistato loro.
Attenzione vuol dire che non sono tutti cattivi e che non viviamo in un mondo di perversi ma, una volta che vengono identificati vanno denunciati.
I consigli della nonna sono ancora validi: non si accettano caramelle dagli sconosciuti. Ricordando che gli sconosciuti sono anche quelli, appena conosciuti, che ti offrono un drink in discoteca o che ti danno dello “sfigato” se non provi la “pasticchetta”.
Ricorderei ai genitori che non c’è segreto inconfessabile che i figli non possano rivelare ad almeno uno dei due, se questa banale verità fosse applicata in tutte le famiglie il problema violenza sui minori sarebbe sistematicamente combattuto e forse azzerato. E’ ovvio che se il sentimento dei bambini è: “non lo posso dire a mamma o a papà, perché mi ammazzano di botte”, tutto il ragionamento naufraga miseramente.
Sempre alle famiglie dovrebbe essere affidato il compito di trasmettere dei valori che non siano meramente consumistici. Se una bambina di 15 anni vende su Internet i propri spogliarelli per una ricarica telefonica o per la borsa alla moda, forse qualcosa nella relazione intra-familiare è andata storta.
In ultimo, dovremmo ricordare ai nostri figli che hanno il diritto a dire “no”, che non deve essere confuso con il comportamento ostativo sempre e comunque, ma un “no” ai ricatti e alle cose che li fanno stare male, “no” alla violenza e “no” all’illegalità.
Non potendo “azzerare” i pedofili ricordiamoci che questi hanno gioco facile quando in famiglia c'è qualcosa che non funziona come dovrebbe. Ormai siamo tutti “laureati” in comunicazione, proviamo a “laurearci” anche in ascolto, almeno, dei nostri figli.
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